A cura di Matteo Lanzi
Nel calcio spesso si fa troppo rumore. Ma il rumore è confusionario, nasconde e spesso fa perdere di vista i veri obiettivi. Partiamo dai fatti. Alicandri è colpevole, reo confesso (e non poteva essere altrimenti) di un atteggiamento sbagliato, a maggior ragione per chi come lui ha l’onore di indossare la fascia da capitano. Tutti d’accordo nel condannarlo, tutti d’accordo nell’accusarlo. La posizione della società è stata subito chiara: tramite un comunicato stampa l’Atletico Torrenova ha espresso la ferma volontà di aggiungere sanzioni ulteriori a quelle che verranno commissionate dal Giudice Sportivo, per ribadire ancora una volta la condanna e il distacco dal gesto del ragazzo. La prima iniziativa sarà quella di fargli arbitrare tutte le partite infrasettimanali della Scuola Calcio da oggi fino al termine della stagione. Un comunicato giusto, mosso anche dalla paura di avere ripercussioni a livello disciplinare. Inutile nascondersi, lo spettro principale è quello di avere sanzioni come società. In tal senso i precedenti sono molteplici, ultimo dei quali quello della Juniores del Grifone Monteverde, che qualche anno or sono arrivò addirittura a perdere la categoria. Una penalizzazione (da vedere poi in che forma) all’intera Under 19 dell’Atletico Torrenova sembra possibile, se non probabile, ma, francamente, si reputa poco sensata. Nella giornata di ieri sono arrivate le scuse pubbliche di Alicandri, il quale in privato ci ha anche confessato che:
“C’è poco da dire: ho sbagliato ed è giusto che paghi. Non sono mai stato un cattivo ragazzo, protagonista di comportamenti sbagliati, anzi, ho sempre fatto della correttezza e dell’educazione un mio punto di forza. Purtroppo non è un buon momento personale, sto avendo dei problemi extracalcistici e la mia debolezza è stata quella di non saper separare lo sport dal resto. Io amo il calcio, ho sempre dato tutto per questa passione e se c’è un modo per recuperare mi metterò sicuramente a disposizione. Ho subito chiesto scusa all’arbitro a fine gara, non so se basterà, ma mi sentivo in dovere di farlo“.
La vicinanza al ragazzo è stata unanime, a partire dai compagni di squadra (che lo riconoscono ancora come il loro capitano) fino a mister Camerino, che in un post su Facebook ha dimostrato tutto il dispiacere per l’accaduto, ribadendo però la volontà di restare vicino al proprio numero 1. Chi va punito in questi casi? La squalifica al giocatore sarà pesante, come è giusto che sia, ma è giusto che a rischiare sia anche la società? Al di là delle regole, che fanno emergere sempre e comunque un punto di vista e non la sacrosanta verità, che senso ha condannare un gruppo di lavoro intero (calciatori, tecnico, staff e dirigenti) per l’errore di un singolo? Nel settore giovanile i ragazzi vanno educati, per educarli è giusto punirli se mostrano un comportamento errato, ma punire tutti rappresenterebbe un’ingiustizia, la quale potrebbe far perdere la fiducia nel sistema da parte di chi si sentirebbe ingiustamente colpito. Condannare in maniera eclatante la punta dell’icerberg di un problema sociologico come le difficoltà dei ragazzi, le quali poi a volte sfociano erroneamente nello sport, servirebbe a qualcuno per lavarsi le mani, ma non aiuta nessuno, ne il ragazzo, ne la società, ne il povero arbitro coinvolto nella questione. Quest’ultimo, in tutta questa confusione, è la vera vittima della faccenda. Ed è difficile immaginare che una condanna (qualunque essa sia) ad un collettivo, oltre che ad un singolo, contribuisca a rendere più sicura la passione di questi giovani, che ogni weekend ci permettono di goderci lo spettacolo che più amiamo. Si ricordi, il rumore fa confusione, ma chi al rumore è abituato abbia la capacità di andare oltre, cercando di trovare la luce giusta per schiarire le tenebre che attanagliano la mente e i cuori del futuro del calcio nostrano.