In Serie D, la squadra che in questo momento, sia tra le laziali che in generale tra tutte le formazioni del Girone G, non sta passando inosservata per i suoi numeri, è la Vis Artena di Agenore Maurizi. Un collettivo che sta facendo davvero benissimo nell’ultimo periodo, dimostrando di aver ritrovato uno stato di forma ideale. Ed è proprio “collettivo” il termine più appropriato per definire la formazione del Presidente Sergio Di Cori. A darne la conferma è un dato su tutti: ovvero quello della solidità difensiva. Prerogativa principale in questa stagione della compagne rossoverde. Sono ben quattro i cleansheat consecutivi, per un totale di addirittura tredici in tutto il campionato.
Una statistica che manda un segnale forte ed inequivocabile a chiunque, facendo capire a tutte le avversarie, comprese quelle che stanno ai vertici della graduatoria, che cosa doversi aspettare quando si affronta una blocco granitico come quello allenato dal tecnico ex Viterbese e Latina. Proprio parlando con lui durante questa settimana, è emerso un confronto molto interessante su tanti aspetti. Non sono infatti mancati neppure degli spunti di rilievo circa il suo passato. Dei principi che l’allenatore ha sempre cercato di applicare attraverso una metodologia di lavoro lungimirante. Un tipo di mentalità che ancora oggi fa di lui un professionista esemplare e all’avanguardia rispetto a molti.
Argomento che trova riscontro anche nella sua analisi in apertura di intervista, quando ci siamo soffermati su quella che in effetti è impossibile non riconoscere come la caratteristica predominante della sua squadra, ovvero la ottima fase difensiva.
Mister, quella di non subire gol è ormai diventata, o forse è sempre stata, una vostra caratteristica. È questo ciò che chiede prima di tutto ai suoi ragazzi, ovvero di essere un blocco compatto?
“Noi mettiamo in atto un preciso modo di lavorare, condividendo con la squadra la volontà di lavorare su dei principi di gioco. Questi principi prevedono anche la fase difensiva che è fatta di pressing e di pressione sulla palla. Un tipo di applicazione ben studiata ed eseguita. Sia individuale che collettiva”.
Forse, l’unica volta in cui non vi è riuscito nell’ultimo periodo, è stata contro la Lvpa Frascati…
“Si, ma in quel caso non è che l’avversario sia stato più forte di noi. Si è trattato di una partita equilibrata nella quale loro sono riusciti a non farci pressare, più che a non farci giocare. Anche la Lvpa, comunque, è una squadra che basa molto la propria organizzazione su questo aspetto. In quella partita hanno avuto più qualità di noi che abbiamo perso troppi duelli. Dobbiamo crescere in questo fondamentale”.
Comunque bisogna dire che, molto spesso, con questo tipo di solidità si vincono anche i campionati: perciò non crede che magari un altr’anno, con qualche innesto di grande tecnica, sempre mantenendo questa impostazione, si possa sognare in grande?
“Intanto la cosa più importante è quella di riuscirci a salvare quest’anno, perché la classifica è molto corta. Non per eccesso di prudenza. Ma perché adesso, se si va a guardare il calendario, ci sono partite molto importanti che ci attendono: abbiamo Casertana e Sorrento fuori. Quindi delle difficoltà oggettive legate alla forza dell’avversario. Intanto cerchiamo di portare a casa questa salvezza. Dopo di che, la società valuterà quello che è più giusto fare”.
Quanto sente di aver trasmesso della sua ormai più che ventennale esperienza ad alti livelli nel professionismo per la crescita di questo gruppo e dei giovani in particolare?
“Io ho 390 partite all’incirca in Serie C. In Serie D di meno. Ho fatto l’allenatore per due anni della rappresentativa di Serie D. La mia difficoltà iniziale è stata quella di trasmettere la mentalità professionistica sia agli ambienti in cui ho lavorato che ai tanti ragazzi. Questa società, soprattutto come struttura e forza lavoro era una realtà dilettantistica. Ma non per questo sbagliata. Semplicemente diversa. E per questo motivo, l’adattamento reciproco è stato abbastanza complicato. Ma oggi andiamo d’amore e d’accordo”.
Anche quella importantissima del calcio a 5, è un tipo di esperienza che, pur con qualche differenza a livello di disciplina, può essere un veicolo sul piano dei contenuti tecnici? Si può applicare? Se si, quanto le sta servendo anche oggi?
“Io ho un grande rammarico da questo punto di vista. Ho sempre pensato che il calcio a 5 fosse uno sport propedeutico per il calcio. E oggi che ne parlano Guardiola, Luis Enrique e tanti allenatori di livello mondiale, è più facile dare ascolto a queste voci. Io ne parlavo già nel 2003, ai tempi in cui infatti fui nominato coordinatore capo allo sviluppo del calcio a 5 in Italia, come sport utile al calcio. Ma avevo tantissimo appeal in quella disciplina e poco nel calcio a 11. Per cui non sono stato ascoltato molto e di conseguenza mi sono rapportato in maniera un po’ titubante al mondo del calcio per trasporre alcuni principi o alcune esercitazioni che a mio modo di vedere dovrebbero trovare una maggiore applicazione anche in questo contesto”.
Ma anche dal punto di vista mentale, c’è qualcosa che si può trasferire?
“Si sì, assolutamente. Nel calcio c’è molto del calcio a 5. E io quando allenavo in quel settore, cercai di portarmi dietro anche molto dal basket, dall’NBA in particolare. Feci addirittura venire un allenatore dai Boston Celtics. Credevo tanto in questo tipo di approccio. Invece quando entrai nel calcio, fui un po’ travolto da delle dinamiche diverse. Notai molto arrivismo e del pregiudizio nei miei confronti. Venivo visto come quello che di calcio non capiva niente. Anche oggi vedo superficialità. E noto che da molte parti c’è ancora questa mancanza di cultura sportiva dell’interazione tra discipline. Ciò mi ha portato ad essere frenato. Perché infatti, come non arriva qualche risultato, vieni etichettato come ‘quello che faceva l’allenatore di calcio a 5.’. Mentre invece si dovrebbe capire che questa disciplina può insegnare molto al calcio”.
Non è anche più “allenante” per lo sviluppo della tecnica nello stretto e per quella velocità che non è solo nei movimenti, ma è anche di pensiero? O per imparare a gestire la fatica?…
“Allora, non voglio essere presuntuoso, ma oggi si sentono tanti allenatori che dicono che bisogna leggere la situazione di gioco. Certo. È giusto. E allora nel calcio a 5, se la situazione non la leggi prima, hai perso. Hai perso un duello, un contrasto, il tempo per fare una giocata o per contrastare un’azione. I tempi a livello mentale si riducono. E quindi se uno poi si sposta al calcio con quella prontezza mentale a cui si è abituato giocando il calcio a 5, è più avanti degli altri”.
Tornando al campionato: domenica si va a Pomezia. Che partita si aspetta?
“Ci attendiamo una partita dura tra due squadre che navigano nelle zone meno nobili della classifica. Il Pomezia è una squadra ottima, costruita bene e che ha delle individualità importanti, soprattutto davanti. Ma anche per quanto riguarda il pacchetto arretrato, dispone di una vasta scelta di calciatori da poter utilizzare. Mi sorprende che sia così attardata in classifica. Quindi siamo consapevoli che dovremo dare del nostro meglio per fare risultato. Cercheremo di andare a giocarcela con le nostre armi, su un campo molto difficile, in un impianto a porte chiuse. E dunque dovremo stare attenti mentalmente ad un clima abbastanza insolito”.