Sogni infranti, omonimi vincenti e delusioni. Ora però D’Ambrosio rivede la luce: “In D con la Valle del Tevere e poi sposo Giulia”

Sogni infranti, omonimi vincenti e delusioni. Ora però D’Ambrosio rivede la luce: “In D con la Valle del Tevere e poi sposo Giulia”

C’è stato un tempo in cui il signor Alceste, che da quasi mezzo secolo si alza dal letto quando ancora l’alba si stiracchia ed i lampioni  illuminano l’asfalto, terminata la sua giornata di lavoro al mercato accompagnava quel suo figliolo, un ragazzino magro e dallo sguardo vispo, a Trigoria.

Lo vedeva crescere giorno dopo giorno e ne era giustamente orgoglioso perchè suo figlio, tra un rimbrotto di Roberto Mattioli ed una pacca sulle spalle di Alberto De Rossi, piano piano metteva da parte quella sua innata timidezza.

C’è stato però anche un tempo in cui il Fato ha deciso che no, quel ragazzino che era arrivato a firmare un contratto con il Grosseto in B non era il Danilo D’Ambrosio giusto.

Era l’altro quello destinato a soggiornare tra i grandi.

A lui era riservata la scalata dell’inferno centimetro dopo centimetro e pure l’obbligo di resettarsi, riconfigurarsi da dilettante, come se fosse stato solo un sogno.

Rimpianti, doverosi, ma anche la voglia, tenace, di ripagare in qualche modo i sacrifici di papà Alceste che, a dire il vero, mai gli ha fatto mancare il suo sorriso ed il suo incoraggiamento e che in queste sue stagioni tra Serie D, Eccellenza e Promozione è sempre stato in prima fila a battere le mani a quel suo figlio che non sarà arrivato a lambire le luci di San Siro, ma ha comunque dimostrato che, attraverso la costanza ed il sacrificio, gli obiettivi si raggiungono.

Per chi non lo avesse ancora capito, questa è la storia di Danilo D’Ambrosio, esterno di corsa e di talento della Valle del Tevere.

Questa è la storia del Top Player di Eccellenza della scorsa settimana.

 

Sfoglia il tuo album dei ricordi del 2016 e staccane una foto.

Quale scegli?

“Sotto il profilo calcistico scelgo quella che mi ritrae in un abbraccio con Jody Fiorentini al termine della gara contro la Lepanto Marino che è valsa l’approdo in Eccellenza”.

Perchè proprio l’abbraccio con il capitano?

“Perchè con lui mi ci confronto spesso e perchè quella che precedette la sfida infrasettimanale contro i castellani fu una settimana molto particolare e ricca di pressioni.

Non da parte della società, sia chiaro, ma nello spogliatoio l’ansia era a mille.

Con Jody non facevamo che ripeterci giorno dopo giorno: “Come vorrei che fosse già mercoledì sera”.

Quella vittoria rappresentò una liberazione, ma soprattutto una grande emozione”.

fiorentini-valle-del-tevere

Fiorentini è il tuo migliore amico all’interno dello spogliatoio?

“Metto sullo stesso piano lui e Nardi, anche se in realtà ho un ottimo rapporto con tutti i miei compagni.

Jody è un leone, Francesco è un ragazzo altruista.

A volte, anche troppo”.

Mentre realizziamo questa intervista, stai andando ad allenarti.

Sei da solo in macchina?

“No, con me c’è Stefano Tartaglione.

Compagni nell’incubo”.

 

Spiegati meglio.

“Entrambi avevamo il vizio del fumo ed abbiamo smesso.

Le conseguenze però non sono state positive: lui in un anno e mezzo è ingrassato quattro chili e mezzo, io sono in costante crisi di astinenza (ride)…”.

Allora conviene accantonare i vizi e tornare a parlare di scelte.

Adesso c’è la sosta, ma alla ripresa dovrete affrontare nel giro di tre giorni due gare che potrebbero rivelarsi decisive.

Te lo chiedo preventivamente: la Valle del Tevere deve operare una scelta tra coppa e campionato?

“Assolutamente no, e posso anche argomentare la mia risposta.

Il venerdì successivo alla recente gara con il Roccasecca, il mister ci ha fatto notare che in coppa l’undici iniziale era stato modificato per nove undicesimi rispetto al match di campionato con il Cre.Cas. di tre giorni prima e ci ha fatto i complimenti perchè, nonostante il turn-over, la qualità del gioco non era affatto diminuita.

dambrosio

Credo che questo esempio basti a dimostrare che in questa squadra chiunque scenda in campo fa in pieno il proprio dovere.

Perchè dunque dobbiamo porci dei limiti?

Il mister è il primo a dirci che possiamo dire la nostra su entrambe le competizioni e noi siamo pienamente d’accordo con lui”.

Pur essendo stati artefici di un ottimo girone d’andata, attualmente siete a sette punti dalla capolista.

A tuo giudizio, in cosa è stato superiore lo SFF Atletico e su cosa dovrete puntare per recuperare il distacco nella seconda metà del torneo?

“E’ dura dare una risposta.

Rispetto allo scorso campionato, quando facemmo del Comunale un vero e proprio fortino inespugnabile, quest’anno abbiamo perso qualche punto di troppo tra le mura amiche.

L’esempio più lampante è la sconfitta all’esordio con la Boreale dopo un anno di imbattibilità casalinga, ma forse in quel caso pagammo dazio ad una categoria del tutto nuova per noi.

Probabilmente, a cercare il classico pelo nell’uovo è lì che possiamo migliorare, anche se a far da contraltare c’è un rendimento in trasferta che è sotto gli occhi di tutti.

Tra gli elementi che mi fanno ben sperare ci sono un gruppo che è rimasto per gran parte lo stesso della passata stagione, la grande intensità che ci mettiamo quando ci alleniamo ed una situazione di classifica che mi riporta alla mente quanto accadde dodici mesi fa (sorride)…”.

In che senso?

“Prima delle feste natalizie dello scorso campionato, noi avevamo conquistato un solo punto in tre partite (ko ad Olevano Romano e Marino e nel mezzo pari a Tor di Quinto, ndr) e la Lepanto aveva allungato.

Ovviamente, e con tutto il rispetto dovuto, non voglio paragonare il punto con il Cre.Cas. con quello ottenuto in via del Baiardo, però ci penso e dico: mi pare di rivedere un film già visto…”.

dambrosio-valle-del-tevere

Parliamo di Coppa Italia: voi siete l’unica squadra partecipante al Girone A nel lotto delle semifinaliste.

Secondo te, questo equivale ad una superiorità dell’altro raggruppamento?

“No, anche se i due gironi hanno caratteristiche profondamente diverse.

Da noi si gioca più al calcio, nell’altro i campi sono più caldi e prevale l’agonismo.

Essere l’unica squadra del Girone A ad aver centrato la semifinale per me significa che abbiamo qualcosina in più sotto il profilo caratteriale rispetto alle altre e lo abbiamo dimostrato anche in occasione dei match con Pro Calcio Tor Sapienza e Cre.Cas.”.

Vi troverete di fronte l’UniPomezia, squadra che come voi ha cominciato la manifestazione dai preliminari ma che ha affrontato mille difficoltà nei primi quattro mesi della stagione.

Che genere di partita prevedi?

“Leggendo quelli che erano i loro auspici iniziali, di certo non si trovano nelle condizioni di classifica che speravano.

In estate avevano costruito una rosa molto competitiva, poi non so cosa sia accaduto.

Ora è chiaro che i loro obiettivi sono cambiati: devono pensare alla salvezza, ma come noi vogliono fortemente la coppa.

Non so che partita verrà fuori.

Di certo noi ce la giocheremo a viso aperto: per loro massimo rispetto ma niente paura.

Speriamo sia solo una doppia sfida corretta e che alla fine ci si stringa la mano come vuole lo sport”.

In passato ti sei legato spesso alle maglie che indossavi, penso al Futbolclub ed al Città di Ciampino per esempio.

Per te questa è la seconda stagione a Forano.

Cosa ti ha spinto a restare anche in Eccellenza?

“Vedi, io sono uno che per carattere tende ad affezionarsi alle persone ed agli ambienti.

Questo può essere un pregio, ma anche un limite.

Ero reduce da due stagioni non propriamente belle tra Città di Ciampino e Lepanto ed ero un po’ sfiduciato.

Qui ho ritrovato il sorriso.

La Valle del Tevere è una società pazzesca, chiunque vorrebbe venire a giocare qui.

Non fraintendetemi, non mi riferisco all’aspetto economico perchè per me ha un’importanza secondaria”.

A cosa ti riferisci quindi?

“Avete presente cosa significhi per un giocatore dilettante arrivare sempre al campo con il sorriso e la voglia di allenarsi?

Per uno come me questo è il massimo.

E poi avevo fatto una promessa ad Alessio Bianchi, quando sono arrivato qui”.

alessio bianchi valle del tevere

Quale, se posso?

“Lui mi ha detto che l’ambiente di Forano mi avrebbe fatto riscoprire la gioia di giocare a calcio ed io gli ho promesso che, se ciò fosse accaduto, la Valle del Tevere avrebbe avuto il 100% di D’Ambrosio”.

Promessa mantenuta, lo dicono i numeri.

“Merito della società, del mister e dei compagni.

D’altronde, io mi conosco fin troppo bene: se nelle cose mi ci metto con la testa giusta, riesco a dare il massimo.

In caso contrario, sono guai.

A cominciare dalle gambe che non girano come dovrebbero…”.

Grandi picchi, speranze, cadute e poi riprese.

La tua vita calcistica potrebbe essere riassunta così.

“La cosa che mi è pesata di più in assoluto è stata rinunciare al sogno che avevo da bambino e non riuscire a ripagare tutti i sacrifici che per me ha fatto mio padre.

Ero riuscito ad arrivare a giocare in Serie B con il Grosseto.

Non so dire come sarebbe andata a finire.

Magari sarei comunque sceso tra i dilettanti dopo qualche stagione o forse sarebbe andata diversamente.

Purtroppo c’è stato quel maledetto infortunio.

Sono stato fermo quattordici mesi, poi sono andato a Taranto che ancora usavo le stampelle.

Ho ricominciato, ma presto ho capito che non sarei più tornato come prima.

Con il mio procuratore ho deciso di ripartire dalla Serie D: Darfo Boario, poi Aprilia.

La testa però mi riportava sempre al punto di partenza: ai tempi in cui dalla Primavera mi aggregavano alla prima squadra durante gli allenamenti e mi trovavo di fronte Totti, De Rossi e Mexes.

Mio padre continuava ad incitarmi, a farmi forza, a sorridermi, però in me prevaleva il dispiacere di non essere riuscito ad arrivare dove lui sperava.

Per metabolizzare i rimpianti c’è voluto tanto tempo”.

Quel Grosseto era allenato da Stefano Pioli che adesso nell’Inter ha comunque alle dipendenze un Danilo D’Ambrosio.

Il destino utilizza spesso maschere beffarde per realizzare i suoi piani.

“Vista com’è andata, si può dire che lui è il D’Ambrosio vero, mentre io sono quello finto (ride).

Ancora capita che su Facebook la gente mi chieda l’amicizia pensando che io sia lui.

Pensare che all’epoca del settore giovanile ci siamo pure trovati di fronte, io con la maglia giallorossa, lui con quella della Fiorentina, e visto che io gioco a destra e lui a sinistra l’allora telecronista di Roma Channel Matteo Vespasiani andava al manicomio.

Ancora rido se ci ripenso.

Che vuoi farci?

E’ andata così”.

Tu ricopri un ruolo che è tra i più dispendiosi che ci siano nel calcio.

La domanda sorge spontanea: ma chi te l’ha fatto fare?

“Mi è venuto naturale.

Forse è una questione genetica, visto che mio padre da quarantasei anni si sveglia all’alba per andare a vendere borse al mercato.

Mi ritengo un ragazzo di fatica, di sacrificio.

Vi farà sorridere, ma io adoro quel particolare momento della partita quando cominciano a farsi sentire i crampi.

Quello è il segnale che ho dato tutto me stesso”.

Però c’è anche l’altra faccia della medaglia: per quarantacinque minuti sei tu quello più vicino alla panchina e dunque sei tu a dover sopportare più dei tuoi compagni i rimbrotti del tuo allenatore.

“Qui a Forano sono fortunato perchè Scaricamazza preferisce vedere le partite dalla tribunetta sopra elevata.

Attenzione alle apparenze, però, perchè il mister non è affatto tenero e, se ha qualcosa da dirci al chiuso degli spogliatoi, non usa certo mezze misure.

scaricamazza

Parlando in generale, è ovvio che tutti i calciatori preferiscano quel genere di allenatore che, a prescindere dal buon esito dell’azione, ti batte le mani dopo che hai fatto uno scatto di settanta metri rispetto a quello che mugugna perchè magari hai sbagliato il cross o la giocata.

Comunque, arrivati alla soglia dei trent’anni bisogna anche avere l’intelligenza di accettare il rimprovero”.

Tra i tecnici avuti in passato chi ti “pressava” con maggior insistenza durante la partita?

“Non ho dubbi: Roberto Mattioli, mio mister all’epoca dei Giovanissimi Nazionali.

Era una furia, ti metteva una pressione incredibile ed io la sentivo tutta.

Avete presente quando un giocatore ha il collo tirato e le vene in rilievo?

Però poi ho capito che lo faceva per tirarti fuori le qualità.

Un altro che strillava parecchio era mister Santececca.

All’inizio non me lo aspettavo, vedevo questa persona pacata e di una certa età e credevo fosse un tipo tranquillo.

Sbagliavo di grosso”.

Il sogno che speri di realizzare nel 2017.

“Ne ho due.

Calcisticamente parlando, mi auguro di riuscire a portare insieme al mister ed ai miei compagni la Valle del Tevere in Serie D.

E se non sarà quest’anno, mi auguro che accada nei prossimi perchè, dal presidente in giù, tutti ci stiamo lavorando alacremente ogni giorno e ce lo meriteremmo.

Sotto il profilo personale, l’augurio che mi faccio è invece quello di riuscire a portare presto all’altare la mia Giulia.

Stiamo insieme da tre anni e sento che il momento giusto sta arrivando”.