Di Alessandro Bastianelli.
Una seconda pelle.
Non ci è voluto molto affinché quei colori gli si cucissero addosso.
Il Tor Sapienza ripartirà da Cristiano Di Loreto, confermatissimo sin da Maggio alla guida della prima squadra dal presidente Armeni. Non una sorpresa, visto il rapporto quasi decennale che lega la famiglia Armeni all’ex giocatore della Lazio, già allenatore del Villanova prima del trasloco a Tor Sapienza.
Al Castelli ha ritrovato tutti i fedelissimi degli ultimi anni, nuovi volti (l’interessante Maione e l’esperto Della Penna) ma ha scoperto anche tifosi così rari e preziosi a queste latitudini. Quegli stessi tifosi che lo hanno già investito del grado, del soprannome di “Generale”.
A pochi giorni dall’inizio della sua terza stagione in gialloverde, lo sguardo è sempre al campo, al futuro, a quella settimana per la quale gli allenatori vivono. Quella che precede la partita e che Di Loreto non vede l’ora di rivivere puntualmente, come un eterno ritorno nietzscheano.
Cristiano, il campionato è alle porte.
La nuova stagione del Tor Sapienza ripartirà sotto il profilo dei giovani?
«Partiamo da un presupposto: non è facile conciliare l’esigenza di fare risultato con quella di valorizzare i giovani.
Lo scorso anno mi è dispiaciuto poter investire sui ’98, ’99 e 2000 solo alla fine, ma la stagione è fatta di tanti momenti e non sempre i giovani erano pronti.
Faccio l’esempio di Nargiso: è un giocatore dal notevole spessore tecnico, ma ha capito cosa vuol dire giocare in Eccellenza solo nel girone di ritorno. Anche i vari Cannizzo, Ruggiero, Mele, hanno molte qualità che riescono ad esprimere con continuità solo a tratti.
Mi ritengo comunque molto fortunato, perché abbiamo un settore giovanile che, sotto la guida del DG Stefano Volpe, sta tirando fuori giocatori dalle potenzialità importanti. Avrò anche un 2000 molto bravo in rosa.
Dobbiamo ripartire dai progressi della scorsa stagione, ma senza fermarci lì: mi aspetto un passo in avanti da parte di tutti i giovani per quanto riguarda la continuità, anche da parte mia che ho il dovere di far rendere i ragazzi al meglio».
Il Tor Sapienza, oltre ai giovani, si presenterà con le proprie bandiere.
Non c’è il rischio di appiattire le motivazioni quando si gioca insieme da tanti anni?
«Sicuramente il rischio esiste, ma tutti sanno benissimo di doversi impegnare al massimo perché con me il posto fisso non c’è.
Abbiamo arricchito la rosa con due validissimi giocatori (Della Penna e Maione ndr) e ci sono i ragazzi della Juniores che sono saliti, avrò sicuramente più scelte nel lungo periodo.
D’altra parte sono davvero fortunato ad avere giocatori come i miei: Di Mauro, Santori, Trinchera e Camilli sono una garanzia, non è facile trovare ragazzi disponibili come loro e quando se ne andranno farò fatica.
Anche Minelli, Scardini e Mereu hanno dato molto a questo gruppo con la loro esperienza e temperamento: Mereu ha la fama di essere turbolento, ma è un trascinatore come pochi e sa cambiare le partite in qualsiasi momento.
Quando si gioca da tanti anni insieme ci si capisce con uno sguardo, è vero, ma occorre sempre lavorare sulla testa, sia nei momenti positivi che in quelli negativi: le motivazioni non devono mai mancare, altrimenti è inutile andare avanti».
Avrai un gruppo più ampio nella prossima stagione, lecito attendersi qualcosa in più?
«Guarda rimaniamo sullo stesso discorso di prima: nelle scorse due annate, quando potevamo alzare l’asticella, ci siamo sempre bloccati sotto il profilo psicologico.
Non partiremo con l’obiettivo di vincere, ma per toglierci le nostre soddisfazioni, e per farlo c’è una sola strada: il lavoro e la voglia di migliorarsi sempre.
Quest’anno mi aspetto molto da parte del gruppo».
C’è una caratteristica del Di Loreto-giocatore che vorresti infondere ai tuoi ragazzi?
«Si dice che in Eccellenza gli allenatori facciano la differenza, ma io la penso differentemente: è la stima reciproca fra il gruppo e l’allenatore che porta i risultati.
Tornando alla tua domanda, io non ero certo il giocatore che metteva il pallone sotto l’incrocio o faceva il lancio di 40 metri, ma qualsiasi cosa mi chiedessero io la facevo. Giocavo in tutti i ruoli, mi sacrificavo, non mi arrendevo mai, ero un combattente: è la disponibilità alla lotta e al sacrificio che provo a tirar fuori dai miei giocatori tutte le settimane.
Qualcuno sta recependo questo messaggio, faccio l’esempio di Graziani, che nessuno ha mai considerato e che invece ha fatto un percorso di grande crescita. Prima aveva paura a fare i contrasti, adesso se ne perde uno impreca come un matto!
Non volevo che arrivasse a questo punto (ride ndr), ma con il lavoro “Ciccio” si è ritagliato un posto importante, potrebbe essere l’anno della sua consacrazione».
Hai vestito molte maglie da calciatore, fra Mantova, Frosinone, Fermana, Sangiovannese e L’Aquila, ed incontrato molti tecnici.
Qual è l’allenatore da cui hai appreso di più e quello che per te rappresenta il modello.
«Piero Braglia, che mi allenò ai tempi della Sangiovannese (stagione 98-99 ndr).
Piero è un tipo sanguigno, un toscanaccio vecchio stampo, non te le mandava di certo a dire. Se vedeva che non lavoravi come voleva lui erano guai, sapeva gestire benissimo il gruppo, motivandolo e caricandolo nei modi giusti.
Mi ha allenato solo un anno, ma a livello tattico è stato un maestro. Era uno di quegli allenatori che ti entrava in testa, sapeva trasmetterti qualcosa. Sia sulla gestione del gruppo che sulla tattica, lui è il mio punto di riferimento».
Sul tuo profilo Facebook hai tenuto per molti anni una foto copertina degli anni di Villanova, con Meloni, Lorenzo Marini e Neroni che esultano in trasferta a Montefiascone.
Perché per te quel momento è stato così emblematico?
«Perché nei visi di quei tre ragazzi c’è tutto quello che la domenica si deve tirare fuori dopo una settimana di duro lavoro.
Era una partita complicata, il campo fangoso, l’ambiente caldo, perdevamo e la scivolata più corta durava circa cinque metri.
Quando abbiamo segnato ho visto quei tre ragazzi sfogarsi, godere e tirare fuori tutto il lavoro di una settimana: le sedute tattiche, il lavoro fisico, ma anche le semplici chiacchierate che c’erano fra noi.
Quella foto, quei momenti lì, sono l’emblema della fine di un lavoro fatto insieme durante la settimana. Perché si ragiona sempre settimana per settimana, e la partita più importante è quella della prossima domenica. In quegli occhi spiritati, libidinosi, mi ci sono e mi ci rivedo anche io».
Parlare di Serie D, per una squadra di Roma, è abbastanza complicato, qual è la soddisfazione più grande che vorresti toglierti con il Tor Sapienza?
«Vincere il campionato e andare in Serie D (ride ndr)!
A parte gli scherzi, siamo consapevoli che la Serie D è un campionato economicamente massacrante, e nel Lazio non si può competere, a livello di risorse e ambiente, con le altre regioni.
Fare la Serie D rischia di farti sparire, come è successo al Santa Maria delle Mole qualche anno fa. Noi non vogliamo fare il salto più lungo della gamba, e mi sento di condividere la scelta della società che sta facendo un lavoro oculato. Fare la Serie D ha un contorno (trasferte, burocrazia, costi) che per ora è più grande di noi.
Noi abbiamo però una carta da giocarci: il quartiere.
Se nei prossimi anni riusciremo a creare entusiasmo nella nostra borgata, potremo sognare in grande. Sta a noi creare partecipazione ed ampliare il gruppo di fedelissimi che già ci sostengono ogni domenica e che ci danno grosse motivazioni».
Chiudiamo guardando a un futuro lontano.
Una volta smesso di allenare, ti piacerebbe fare qualcos’altro nel calcio?
«Credo che vedrei come una bella sfida fare il Responsabile della Scuola Calcio.
Per fare l’allenatore del settore giovanile ci vuole una pazienza che non credo di avere, ma mi piace veder giocare i ragazzi, crescere in mezzo al campo e divertirsi quando sono giovanissimi.
Questo desiderio è nato vedendo mio figlio Francesco giocare e crescere, è davvero molto emozionante seguirlo passo dopo passo.
Spero che il Presidente Armeni, in un futuro che per ora vedo molto lontano (sorride ndr) mi conceda la possibilità di lavorare con i ragazzi della Scuola Calcio, ma per ora mi concentro sulla passione che amo, fare l’allenatore della prima squadra».