Di Alessandro Bastianelli.
Una vita, giovane, da mediano, recuperando palloni e spingendo al limite il volume dei propri polmoni.
Ligabue nello stereo e fiato sul collo degli avversari, Francesco Cannizzo vive da due anni l’esperienza del calcio vero con il Tor Sapienza.
Classe ’98, settore giovanile nella Roma, poi la trafila fra Lodigiani, Fidene e Villanova, fino al capolinea, stazione Tor Sapienza.
La prossima corsa è sul rettangolo verde, dove il centrocampista tutto cuore e pressing si è guadagnato la fiducia stabile di mister Di Loreto, non certo per i vincoli di età.
Un ‘falso under’ insomma, vincitore del sondaggio Top Player Sportinoro della 12^ giornata grazie a 253 voti, battendo la concorrenza di un giocatore eccezionale come Cristofari del Lido Dei Pini. Un riconoscimento che lo gratifica, senza appagarlo. D’altronde, il meglio deve ancora venire.
Buongiorno Francesco, gli appassionati del nostro calcio ti hanno incoronato top player della 12^ giornata.
Riavvolgiamo il nastro, torniamo al Salaria Sport Village. La vittoria con la Boreale, firmata da te e Scardini, può rappresentare una piccola svolta per il cammino del Tor Sapienza?
«È stata una gara molto difficile da affrontare, la Boreale è una squadra organizzata a dispetto della classifica: lo hanno dimostrato vincendo a Palombara , ma già contro di noi avevano fatto un grande secondo tempo.
Ti dico la verità, per noi la svolta era arrivata già contro lo SFF Atletico, anche se non avevamo preso punti. È contro la capolista che abbiamo ritrovato noi stessi, il gioco e la cattiveria che ci appartengono.
Adesso spero di trovare anche un po’ più di continuità sotto porta..».
Al tiro ci arrivi spesso grazie agli inserimenti, di reti però ne hai firmate ancora poche.
Credi di poter fare meglio in fase offensiva?
«Forse perché non ci metto abbastanza cattiveria nel momento topico, ma ci sto lavorando in allenamento.
Il meglio deve ancora venire anche qui».
Te la sei anche tatuata questa citazione di Ligabue.
Come la interpreti nella tua quotidianità?
«È semplicemente un modo per ripetere a me stesso che quel che ho fatto non basta e che bisogna sempre cercare di migliorare.
La applico non solo al calcio, ma a tutta la mia vita».
Hai avuto esperienze alla Roma, oltre che in alcune ottime società dilettantistiche.
Cosa ti ha lasciato l’esperienza con i colori giallorossi?
«Basta vivere per pochi giorni Trigoria per capire cosa vuol dire essere professionista. Alla Roma c’è un modo di lavorare esemplare, è tutto diverso, anche la forma dei rapporti.
Resta un bel ricordo e la consapevolezza che il professionismo è tutto un altro mondo.
Io spero di avere un’altra occasione dal mondo del professionismo, lavoro anche per questo e averlo soltanto assaggiato per me è uno stimolo, non il segno di una sconfitta».
Molti ragazzi abbandonano il calcio proprio dopo aver assaporato il professionismo.
Nel tuo caso è andata diversamente.
«Se non avessi questa grande passione per il calcio avrei lasciato anche io, ma senza giocare non riesco proprio a stare.
Ci metto sempre anche molta umità in quel che faccio, è il mio carattere, cerco sempre di calarmi nella parte che il destino ha scelto in quel momento per me.
Non ho avuto problemi a mettermi in gioco nei regionali al Villanova, anni fa, quella stagione mi valse la chiamata al Tor Sapienza; se ti dimostri umile nella vita passi sempre alla cassa a ritirare qualcosa per te, prima o poi».
Sembra superfluo chiederti chi ti ha permesso di maturare e sviluppare queste doti.
«Sono molto legato alla mia famiglia, a mio padre Marcello e mia madre Gina, mi hanno insegnato a non trascurare mai nulla, neanche lo studio, neanche quando ero alla Roma.
Abbiamo un rapporto straordinario e i lati belli del mio carattere li devo a loro».
Con i compagni di squadra che rapporto hai? Ti ispiri a qualcuno di loro?
«Ci sono molti giocatori carismatici in rosa: Santori, Di Mauro, Camilli, Mereu e Minelli sono ragazzi di spessore anche sotto il profilo della personalità.
Provo a rubare con gli occhi da tutti, ma osservo con più attenzione Minelli. È un gran lavoratore del centrocampo, non molla mai e fa il mio stesso ruolo, mi è di grande aiuto in campo visto che abbiamo gli stessi compiti e ci muoviamo per lo stesso scopo».
Chi è il leader di questo Tor Sapienza?
«Senza voler fare torti a nessuno, dico Damiano Mereu.
È un giocatore straordinario, ha tecnica, carisma, visione di gioco. In campo ti dà una carica eccezionale, ti aiuta e si fa sempre sentire».
Qual è il vostro obiettivo come squadra?
«Conseguire la salvezza il prima possibile per poi divertirci nella parte finale.
Quest’anno il campionato è molto difficile e dobbiamo essere concreti e pragmatici, il mister ci chiede sempre di aiutarci fra noi e di giocare come un corpo unico.
Abbiamo avuto un piccolo periodo di flessione ma adesso siamo ripartiti, come ti dicevo prima».
Che tipo è invece Francesco fuori dal campo?
«Purtroppo sono ancora uno studente (sorride ndr), ma sto per finire il liceo scientifico nei tempi giusti, poi deciderò con calma cosa fare.
Mi piace stare con gli amici e uscire con loro, il calcio occupa molto tempo nella mia vita e quando sono libero voglio svagarmi con i miei amici; mi ritengo una persona semplice e solare, che ha come pregio una grande volontà».
Anche perché il meglio, come ripeti spesso, deve ancora venire..
«Esatto, e spero che arriverà con il Tor Sapienza e grazie a questi colori che ormai sento dipinti addosso».