Sul suo petto brillano le medaglie collezionate nel corso del tempo.
Nell’anima aleggia invece una sottile amarezza, che però non intacca lo spirito.
Quello del “Mostro”, come lo chiamano tutti, è sempre lo stesso.
Non parla spesso, Paolo D’Este, ma quando decide che è venuto il momento di farlo, il suo sembra un ruggito.
Pur con i toni pacati della maturità, la sua lingua sa graffiare almeno quanto faceva fino a due decenni fa il suo sinistro nei sedici metri avversari.
Con lui puoi esplorare ogni dettaglio del nostro calcio, con la naturale consapevolezza che i contenuti non saranno mai banali o diplomatici.
Quando parla lui, c’è da mettersi sull’attenti ed ascoltare.
D’Este, trovare uno come lei ancora fermo al palo a metà stagione è insolito.
“Forse mi sono fatto l’etichetta di quello che costa troppo o forse non esistono più i dirigenti di una volta.
Quale che sia la spiegazione, vivo comunque con serenità questo momento e mi dedico alla mia famiglia che mi dà sempre grandi soddisfazioni.
D’altronde, allargando il discorso al calcio professionistico, qui da noi tengono in naftalina gente come Zeman e Delneri ed affidano la panchina a Seedorf.
Questo è il calcio, oggi come oggi…”.
Si spieghi meglio.
“Voglio dire che ora non esiste più la gavetta.
Un tempo, quando un ex giocatore decideva di fare l’allenatore, doveva procedere per tappe, partendo dal settore giovanile, mentre ora te li ritrovi ad allenare le prime squadre dall’oggi al domani.
Non c’è logica”.
Nel Lazio qual è la situazione, a suo avviso?
“Abbiamo imboccato una cattiva strada, perchè mancano i dirigenti e non si sfruttano a dovere le risorse che si hanno a disposizione.
I club hanno gravi responsabilità”.
Si riferisce all’assenza di progettualità?
“Mi fa ridere la parola “progetto”, ma in ogni caso sempre lì si va a parare.
In un contesto sbagliato, plaudo a due realtà che stanno facendo un lavoro intelligente: Villanova e Ladispoli.
Altre mascherano le proprie responsabilità, nascondendosi dietro la crisi economica che c’è, ma è anche diventata un alibi per alcuni”.
Quali sono le differenze sostanziali rispetto alla sua epoca?
“Prima il calcio era una delle priorità della vita.
Almeno così era per noi che venivamo su dalla strada e non avevamo altre distrazioni.
Oggi vedo troppa superficialità, sia da parte di alcuni giocatori che nello spogliatoio parlano solo di soldi, sia da parte di alcune società che li spremono e poi li buttano via, senza un briciolo di rispetto.
Mi vengono in mente tanti esempi e non escludo di fare nomi e cognomi prossimamente, perchè il modo di fare di alcuni pseudo-dirigenti è davvero disgustoso”.
Da dove deve ripartire il calcio?
“Dalle persone capaci.
Ce ne sono ancora, ma sono in minoranza e vengono messe in un angolo da quelli che non hanno competenze.
Vedo troppi giovani rampanti prendere il posto di chi ne sa più di loro, gente che fatica anche ad appendere una lavagnetta nello spogliatoio.
A mio avviso, il calcio dovrebbe fare un passo indietro, se vuole davvero farne uno in avanti nel futuro.
Non so se sono riuscito a spiegarmi”.
Perfettamente.
A proposito, lei di colleghi ne ha conosciuti tanti.
Qual è stato il suo maestro?
“Arrigo Sacchi.
C’è stato un periodo in cui seguivo spesso gli allenamenti della Nazionale e potevo confrontarmi con lui.
Si era sviluppata anche un’amicizia.
In lui rivedevo le mie idee, quelle secondo cui la didattica deve essere posta alla base di tutto nel calcio.
Nella mia vita ho allenato tantissimi giocatori e credo che nessuno potrebbe dire che non ho insegnato calcio”.
Mi faccia qualche nome.
“Liberti era senza squadra e l’ho fatto venire da me ad Aprilia.
Gamboni, che ora è uno dei calciatori più importanti e conosciuti nella nostra regione, l’ho praticamente raccolto per strada con la busta della spesa in mano e gli ho fatto tornare la voglia di giocare a pallone.
Ma ne potrei citare almeno altri cento”.
Nel calcio di oggi a lei non torna mai la voglia di rimettersi gli scarpini?
“Tempo fa, è stato fatto un triangolare benefico tra vecchie glorie di Lazio, Cynthia e Velletri.
Avendo giocato con le ultime due, ho fatto un tempo con la maglia genzanese e l’altro con quella rossonera.
Morale: ho fatto due reti di sinistro che, se le avessi fatte in Serie A, le televisioni le avrebbero fatte rivedere per una settimana intera”.
L’istinto del bomber non viene mai meno.
Ai tempi dell’Almas ricordo anche che giocò in coppia con un giovanissimo Lucidi.
“Eravamo una bella coppia: lui più burlone, io più equilibrato.
Ma ci divertivamo da matti, quando era possibile farlo.
Fabio è un ragazzo d’oro ed un allenatore eccezionale”.
Sta facendo benissimo a Bellegra.
“Sì, ma è uno scandalo che uno come Lucidi sia rimasto a spasso per due mesi e poi sia dovuto andare ad allenare il Serpentara in Promozione.
Lo dico con il massimo rispetto per la società, sia chiaro, ma uno come lui meriterebbe ben altro.
E lo stesso discorso vale anche per Stefano Ferretti ed ancor di più per Francesco Montarani.
E’ incredibile che quest’ultimo sia fermo, è uno dei più bravi in assoluto a mettere una squadra in campo.
Tra quelli più esperti, invece, mi dispiace che Ugo Fronti abbia deciso di mettersi dietro la scrivania, perchè era uno molto in gamba”.
Dia un aggettivo al nostro calcio.
“Disorganizzato.
Finora ho visto una quindicina di partite tra Serie D ed Eccellenza e non ho ancora trovato una squadra ben disposta in campo.
Magari sarò stato sfortunato io, ma ciò che ho visto non mi è piaciuto”.
Siamo al giro di boa: Rieti e Viterbese Castrense stanno rispondendo alle attese iniziali?
“Sì, ma intorno a loro vedo troppa esasperazione.
Camilli e Fedeli sono gli unici due presidenti che hanno investito grandi cifre quest’anno e sono in testa.
Hanno scelto due allenatori validissimi, però devono tenere a mente una verità semplice, ma ineluttabile: non possono arrivare entrambi primi.
Ad uno andrà meglio, mentre l’altro dovrà accontentarsi della piazza d’onore”.
Quale dei due le piace di più?
“Camilli mi sembra più equilibrato, mentre Fedeli è troppo spavaldo.
Non nei confronti della categoria, ma del calcio in sé”.
Recentemente i due club hanno compiuto ulteriori investimenti per rinforzare le squadre…
“In questo tipo di calcio credo sia sbagliato rifare ogni settimana, perchè questo va a compromettere il lavoro dell’allenatore che non può interrompere ogni volta la lezione per spiegarla all’ultimo arrivato.
Oltretutto, dà fastidio vedere società che prima sposano un’idea e poi buttano via tutto alle prime difficoltà”.
Un tempo si parlava di “attaccamento alla maglia”.
Esiste ancora, secondo lei?
“Ora manca, è vero.
E’ diventato raro vedere giocatori che si legano per più di una stagione alla stessa società, ma questo dipende anche dai club che, in certi casi, non sono assolutamente riconoscenti verso coloro che hanno sudato per quella maglia e magari hanno salvato quella società”.
Torniamo al calcio giocato.
Ad inizio stagione lei dichiarò pubblicamente che la Lupa Castelli Romani avrebbe vinto il Girone B con almeno quindici punti di vantaggio.
Siamo a metà del cammino ed i punti dalla seconda sono già nove.
“Credo di conoscere bene sia la categoria che i giocatori e per questo la mia considerazione l’ho soppesata.
Questo resta comunque un campionato mediocre rispetto al passato e quelle che stanno dietro alla Lupa sono le squadre che hanno sbagliato di meno rispetto alle altre, non certo quelle che hanno lavorato meglio.
Quando si vedono Cisterna, Formia o Gaeta, piazze con cui è sempre stato complicato giocarsela, stazionare nei piani bassi della classifica, significa che il tasso tecnico si è notevolmente abbassato.
Detto questo, per il secondo posto vedo favorito il Colleferro, soprattutto dopo i correttivi delle ultime settimane”.
Possibile che nessuno si sia ricordato di Paolo D’Este nei primi quattro mesi del torneo?
“Qualche chiamata l’ho ricevuta, ma solo da società di Promozione ed ho preferito declinare.
Con tutto il rispetto del mondo, ma io alle spalle qualche trofeo ce l’ho, tra campionati e Coppe Italia.
Nella mia carriera ho vinto campionati e salvato squadre che erano praticamente retrocesse.
In questo momento sono fermo, è vero, ma mi sento ancora allenatore e non mi farò certo accantonare facilmente, anche se questo calcio sembra diventato una questione per pochi intimi…
Speriamo che qualche anima pia si ricordi presto di me”.