In una lunga intervista a viso aperto, il Direttore Sportivo Fabio Iengo si racconta. Dai successi passati, ottenuti alla direzione di Fidene e San Cesareo, al sodalizio con Alessandro Virzi, Pietro Rosato e Cristiano Gagliarducci che ha portato alla splendida salvezza della Cynthia della scorsa stagione, fino al nuovo ambizioso progetto della Lupa Castelli Romani. In un percorso che lo ha visto crescere, anche sbagliare perché no, ma sempre con la consapevolezza di avere ben chiaro il suo obiettivo professionale: vincere, e continuare a camminare sempre a testa alta con i propri valori ben saldi nella testa, al di là delle rivalità (sportive e non solo) e degli ostacoli che giorno dopo giorno si incontrano sul proprio cammino.
Direttore, dopo le prime 7 giornate il bilancio di questo avvio di campionato non può che essere positivo, nonostante l’eliminazione in Coppa Italia. Sei soddisfatto di quanto visto fino ad ora? Sicuramente sapevo che nonostante i pronostici a nostro favore avremmo affrontato un campionato difficile. Lo scorso anno alla Cynthia eravamo una sorpresa, e i nostri avversari guardando la classifica non si aspettavano molto da noi, di conseguenza si giocavano le partite a viso aperto sottovalutando l’impegno. Quest’anno, al contrario, fin da subito siamo stati inseriti dagli addetti ai lavori tra le squadre più accreditate per la vittoria finale, quindi mi aspettavo esattamente quello che è accaduto fino ad ora: contro di noi gli avversari danno il 130%, spesso ci aspettano senza sbilanciarsi, ecco perché diventa difficile su certi campi fare risultato nonostante il valore della squadra. Per fare un esempio concreto, il Gaeta domenica veniva da una settimana di ritiro e doppie sedute e sapevamo che per loro c’era in ballo molto di più della semplice partita: erano stati responsabilizzati e già si parlava di eventuali tagli legati al rendimento. Loro ci tenevano a far bene, e di conseguenza noi ci aspettavamo dai nostri ragazzi una gara all’altezza di quella che avrebbero fatto gli avversari. Non sono servite troppe parole, anche perché se fosse stato necessario l’intervento dei dirigenti o dell’allenatore per trovare le giuste motivazioni prima di un impegno del genere, avremmo dovuto ammettere di aver sbagliato gli uomini scelti in estate. Come previsto, però, abbiamo ricevuto una grande risposta, con una prova di carattere che va al di là del risultato finale.
Effettivamente, guardando la Lupa dall’esterno, quello che stupisce di questa squadra è il carattere: tutti vogliono vincere, da chi scende in campo regolarmente a chi ha meno occasioni per giocare, al di là dell’avversario e delle situazioni contingenti. E se in casa la marcia finora è stata impeccabile, in trasferta nonostante due mezzi stop il carattere non è mai mancato.
A Pomezia, con l’uomo in meno e il rigore subito, i ragazzi ci hanno provato fino alla fine. A Borgo Podgora, con il portiere espulso e l’inferiorità numerica, sono andati a vincere la partita. Ad Artena si sono visti annullare un gol, negare un rigore apparso netto dalla tribuna e rifilare un altro cartellino rosso (il terzo in tre trasferte…) ma non hanno subito il ritorno dell’avversario. Quanto c’è di Cristiano Gagliarducci nell’indole di questo gruppo? La disamina è perfetta, i ragazzi ci hanno sempre creduto ed in questo il tocco dell’allenatore è evidente. Cristiano è un gran motivatore e durante la settimana fa un lavoro importante anche a livello caratteriale sui suoi uomini, spingendoli a dare sempre il massimo. D’altronde per loro il primo passo da affrontare era quello di calarsi nella realtà dell’Eccellenza, visto che molti erano abituati ad altri palcoscenici. Tutti i campionati sono difficili, perché ci sono situazioni ambientali da dover affrontare, campi non sempre agevoli, squadre che cercano di non farti giocare. Aggiungiamoci il fatto che contro di noi le motivazioni aumentano, perché i giocatori vogliono dimostrare anche per amor proprio di non essere da meno rispetto ai nostri calciatori che magari percepiscono rimborsi maggiori, e quindi gettano il cuore oltre l’ostacolo anche con lo scopo di dimostrare che la Lupa non è poi quella gran corazzata che tutti pensano. Tutte queste cose fanno parte del gioco, e noi dovremo essere più forti di tutto.
Ti fa arrabbiare il fatto che molte persone la domenica si presentino in tribuna solo per poter poi dire che questa Lupa non è poi così forte come tutti credono?
Anche la concorrenza è una componente fondamentale nel calcio, e non è sempre leale. Se devo essere sincero, però, non mi ha mai preoccupato. Costruire la Lupa partendo quasi da zero è stata una sfida affascinante, come lo sono state quelle a San Cesareo o a Fidene in passato. Io parto dal presupposto che i giocatori bravi li vedono in tanti, ma il calcio non è un gioco di singoli e la forza la fa la sinergia che devi trovare tra un giocatore e un altro. Quello che molti addetti ai lavori non capiscono è che costruire un organico è come comporre uno spartito di un’opera musicale. Non basta prendere il miglior portiere, il miglior difensore e il bomber più prolifico del girone per ottenere i risultati sperati. Spesso un mio carissimo amico che fa l’agente mi chiede: “Fabio, ma cosa sbaglio? Io i calciatori li vedo, ma poi non funzionano come vorrei”. La risposta è semplice: i giocatori non li devi solo vedere, ma comprendere. Spesso però i presidenti (per fortuna non tutti, sicuramente non il mio) credono che basti un colpo di mano per risolvere i problemi di una squadra, che sia sufficiente aggiudicarsi la stella del momento per vincere, ma non funziona così: una squadra è qualcosa di organico, che si costruisce giorno dopo giorno, con la gestione quotidiana dei problemi che si possono creare. Quanto incide nella vita di tutti giorni avere delle persone con le quali confrontarsi, che ti sappiano dare delle risposte? Io penso che i calciatori cerchino questo, risposte, ed è importante che sappiano dove trovarle.
Non è un caso, infatti, che alcuni dei ragazzi di questa squadra ti seguono da molti anni. Con loro hai costruito un rapporto che va oltre il campo, a testimonianza del fatto che la fiducia e il rispetto reciproco non sono mai venuti a mancare…
Io vivo il mio lavoro di Direttore Sportivo in simbiosi con la squadra. Non posso dire che tutti i calciatori che mi seguono sono miei amici al di fuori del campo, ma posso dire che tutti in me trovano un uomo, una persona con dei valori con cui si possono confrontare. Con alcuni c’è un feeling particolare, con altri c’è un’affinità che parte dalla condivisione della stessa voglia di vincere.
Pensi che questo aspetto del tuo carattere ti abbia creato dei problemi in passato?
Io sono uno che concede la propria fiducia senza ostacoli, forse perché mi illudo di trovare persone come me. Purtroppo nel mondo del calcio ci sono facciate da dover difendere, etichette che sembrano ormai consolidate, maschere che però non possono che cadere quando ti trovi ad affrontare le cose di petto. A me piace confrontarmi con le persone al loro stato naturale, senza maschere: non a caso, spesso pungolo e faccio arrabbiare le persone, perché voglio che esca fuori la vera natura di ognuno. In fondo, ad essere se stessi non ci si rimette niente. Nella vita come nel calcio se indossi tutti i giorni una maschera diventi un personaggio, non sei più una persona. Io vivo il mio lavoro come vivo la mia vita, con gli stessi valori e gli stessi punti fermi. “L’uomo Fabio” non può prescindere dal “Direttore Sportivo Fabio”. Poi va da sé che le rivalità ci sono, e ci mancherebbe altro. Ma non mi arrabbio a vedere le persone che vengono in tribuna perché vorrebbero stare al mio posto, perché prima di aspirare a questo obiettivo dovrebbero dimostrare di essere alla mia altezza. Quando si presenterà qualcuno che avrà vinto più campionati di me, e darà prova di avere un’idea o un progetto concreto che sia migliore del mio, io mi alzerò e gli cederò il passo.
Effettivamente, nonostante tu sia giovanissimo, di successi ne hai già ottenuti parecchi… Ti ritieni soddisfatto?
Nel lavoro è sempre giusto puntare a migliorarsi. Non so ancora cosa mi riserverà il mio cammino nei Dilettanti. So però che è da quando ho 25 anni che faccio questo lavoro, quando sono stato scelto dal Fidene e ho iniziato il mio cammino. Ancora oggi ritengo che quella sia stata la mia esperienza più importante, nella quale ho commesso delle ingenuità, ma dove ho anche vinto tanto. Poi nella vita si deve cambiare, e scegliendo di fare un percorso di crescita è inevitabile che si debba pagare dazio, almeno inizialmente. Ma se riesci a farti largo e ad ottenere delle risposte sul campo, ti togli delle belle soddisfazioni. Vincendo a Fidene, vincendo a San Cesareo, facendo bene l’anno scorso a Genzano con una salvezza che vale quanto una vittoria di un campionato, insomma confermandomi in ogni posto in cui sono andato ho maturato una certa consapevolezza. Posso dire di essere stato fortunato a lavorare in tutte società importanti, facoltose, ma quante delle mie avversarie avevano i nostri stessi mezzi? Alla fine a vincere è una squadra sola. Beh, a me è capitato di farlo, come mi è capitato di arrivare a ridosso delle migliori e capire di aver sbagliato qualcosa. So quanto sta male chi non vince, perché è accaduto anche a me, ma tutto ti aiuta a crescere. Perché con le vittorie si cresce, si consolida una professionalità importante, ma anche le sconfitte (non necessariamente quelle del campo) ti portano a maturare. Ci sono delle cose che vorresti cancellare? Dal punto di vista sportivo, la mia sconfitta più cocente è stata la finale di Coppa Italia di Eccellenza persa con il Pomezia del mio amico Colantoni: mi è rimasta un po’ sullo stomaco, ma è stata alleviata dai successi dei campionati successivi a Fidene e San Cesareo. Le delusioni più grandi, però, sono quelle personali, ovviamente legate a momenti di calcio. Qualche esempio? A San Cesareo vivevo quasi in simbiosi con il presidente Carpentieri, oggi non ci facciamo nemmeno una telefonata per gli auguri, e mi dispiace perché penso che i rapporti importanti dovrebbero sempre concludersi con una stretta di mano. In quel caso non ho potuto né voluto dire tante cose, ma sono convinto che quando un comandante lascia la nave non è giusto che porti con sé anche gli altri ufficiali, le altre persone che hanno sbagliato con lui. Le responsabilità sono abituato a prendermele da solo, perché anche se sono giovane sono marito e padre ormai da 10 anni e di base non chiedo niente a nessuno e non vivo sulle spalle degli altri. Quando io e don Guglielmo ci siamo lasciati gli ho fatto un resoconto di quello che non mi era piaciuto negli ultimi mesi a San Cesareo, e al di là del fatto che sarei potuto o meno andare alla concorrenza o che ritenevo il mio percorso lì concluso mi sarebbe piaciuto che ci fossimo lasciati con una stretta di mano. Così non è stato, ma chissà in futuro… Messo in archivio quel capitolo della mia vita, oggi sono felice. Ho conosciuto Alessandro Virzi e non so dire se lo considero un presidente. Io in lui vedo una persona vera, e se non ci fosse il calcio tra di noi lo cercherei anche solo per il piacere di stare insieme. Mi rendo invece conto che tante persone vedono Alessandro come qualcuno che gli possa risolvere i problemi, e mi viene da sorridere quando riceve visite, chiamate, messaggi da tutte queste persone che gli ronzano intorno… Ma il vero Alessandro lo conoscono in pochi. Lui è una persona pragmatica, valuta tutto, ti mette continuamente alla prova e a me questa cosa piace da morire. Come mi piace questa avventura che stiamo vivendo insieme, e che ha degli interpreti straordinari. Pietro Rosato, ad esempio, per me è un fratello maggiore. Ci siamo scontrati in passato ma quando tra due persone c’è un confronto (anche duro) e lo si affronta a viso aperto, il rapporto non può che uscirne consolidato. Possiamo sbagliare tutti, ma non bisogna mai farlo come uomini. Oggi noi sappiamo bene chi è Fabio, chi è Piero, chi è Alessandro e chi è Cristiano, e siamo qui insieme nonostante le ingerenze esterne.
Per concludere, c’è qualche confronto che avresti voluto affrontare e che invece non c’è stato?
Vediamo, a Fidene al termine dell’avventura ho avuto un confronto favoloso con Daniele Anemone, che mi ha fatto capire che al di là degli errori tra di noi c’è sempre stata una grande stima reciproca. A San Cesareo, come detto in precedenza, è rimasto qualcosa in sospeso e forse ci sono stati troppi strascichi. D’altronde quando non si accerta la verità si arriva a costruire attorno ad una persona un alone di negatività difficile da estirpare. In quella situazione non mi sono sentito rispettato e l’ho già spiegato in passato, quindi inutile tornarci. Io non sono perfetto, lo so, ho commesso degli sbagli e so di avere un carattere particolare: mi piace sentirmi stimato, ricevere una pacca sulla spalla o una parola di apprezzamento quando faccio bene, in caso contrario sono il primo a mettermi in discussione. A parte queste due situazioni, se mi guardo alle spalle posso dire che forse avrei voluto ricevere maggiore chiarezza da parte del presidente della squadra dove avevo la possibilità di andare dopo aver lasciato San Cesareo. Non se ne è fatto più nulla, e ancora devo capire il perché. Mi sarebbe piaciuto sentirmi dire “Fabio, non mi sei piaciuto, non ti vedo adatto al mio progetto”, avere una spiegazione diversa, un confronto vis a vis piuttosto che un sms o una mail, soprattutto perché con questa persona avevo avuto degli incontri piacevoli e avevo l’impressione che il suo progetto fosse stato ritagliato apposta su di me. D’altronde, nella vita non bisogna mai guardarsi indietro ma essere sempre proiettati in avanti: oggi per certi versi il cerchio si è chiuso, e alcuni tasselli sono finiti al loro posto. E siccome finora il tempo è stato sempre dalla mia parte, anche in questo caso non sarà un giudice diverso…