FRANCESCO DI BARI: PER LA VIGOR UN 10 COL MITO DI BAGGIO E UN PASSATO ALLA ZLATAN

FRANCESCO DI BARI: PER LA VIGOR UN 10 COL MITO DI BAGGIO E UN PASSATO ALLA ZLATAN

A cura di Giovanni Crocè

 

Se vi raccontassimo di un attaccante talentuoso con indosso la maglia blaugrana, dalla forte personalità e che ha cambiato squadre con l’ altissima frequenza con cui l’Inter ha cambiato i terzini sinistri nell’ultimo decennio, siamo certi che a tanti questo identikit farebbe pensare a Zlatan Ibrahimovic.

E non ci andreste neppure molto lontani, ma per riportarvi alle nostre latitudini oggi vi parleremo, e parleremo, con Francesco Di Bari, fantasista dal talento abbacinante, evidente, della Vigor Perconti Juniores Elite di Francesco Bellinati. Già campione regionale e d’Italia, classe 1994 di Colleverde di Guidonia, parla della sua annata attuale, di quello che è stata la grande cavalcata scudetto della stagione passata, e di ciò che vorrebbe dal calcio e dalla vita.

 

Francesco, partiamo subito dalle note “dolenti”, sei stato espulso sabato scorso  nella vostra sconfitta 2-1 contro il Savio eppure è la tua prima espulsione in carriera: com’è il tuo rapporto con gli arbitri?

 

Ho sempre avuto il vanto di avere un buon autocontrollo, ma c’è stato un malinteso con l’arbitro e spero in un normale stop di un turno, sono stato espulso per doppia ammonizione, la prima per un fallo di gioco e la seconda per una protesta forse intesa come carica di irriverenza da parte del direttore di gara. Il calciatore del Savio, neppure ricordo chi fosse, mi diede un calcione bello forte sul polpaccio e l’arbitro ha segnalato il fallo a nostro favore. Preso dalla foga della partita ho detto, forse con tono giudicato ironico a questo punto, “arbitro mi auguro che a questo punto tu lo ammonisca!”. Lui non ha gradito questa richiesta, tra il serio e il faceto, e mi ha allontanato dal campo. E’ stata la prima volta in vita mia, e già questo parla da sé. Ho grande rispetto per tutti coloro che aiutano una partita a disputarsi, quindi anche tutti gli arbitri.

 

Tu, ragazzo di Colleverde di Guidonia, che giro hai fatto prima di approdare alla vigor?

 

A pensarci bene un po’ di squadre le ho cambiate, partendo in ordine cronologico dalla scuola calcio di quella che oggi è la Fontenuovese e all’epoca si chiamava Tor Lupara. Poi, sempre in ordine crescente d’età, la Romulea, la vecchia Cisco Roma-Atletico Roma non più esistente, la Nuova Tor Tre Teste e da ormai 3 anni la Vigor Perconti. Qua ho un contratto articolato, importante, e la sento come casa mia, anche se ovviamente spero che questa annata, unita alla splendida dell’anno passato, mi aiuti a far si che il prossimo anno io possa giocare per una squadra importante.

 

Piccola parentesi sulla vecchia grande Vigor Perconti scudettata, chi ti manca di più tra gli assenti, quest’anno?

 

Bisogna considerare la domanda come mancanza della persona sia dentro e fuori dal campo. E tutti mi mancano, dal grande “Stampella”, il nostro capitano Edoardo Santori, al portierone Federico Nasti, che sta al Civitacastellana, a bomber Piccone, ora in D con il Cynthia, a Castellano che gioca nel Sora, a Nicolini, che sotto età da terzino ’95 è stato il migliore terzino del campionato e ora ha addirittura smesso. Ma in questi mesi non ho sentito quasi mai nominare da media e giornalisti l’assenza per limiti di età di un 1993 che è Giancarlo di Bari. Lui ha aperto il nostro percorso verso il sogno scudetto segnando al 120’ contro la Tor Tre Teste,  nella finale regionale ed ora ha smesso anche lui, eppure è partito tutto da quel gol. Senza, non sarebbe cominciato niente. E a livello emotivo lui mi manca tantissimo. Era già un calciatore già  lavoratore, credo facesse l’idraulico, quindi faceva tante rinunce per essere con noi, a volte mancava dal campo d’allenamento per giorni, ma quando c’era era un portento. Il primo a fare casino, ad esempio ricordo il baccano che lui aiutò ad innescare nel pullman verso la puglia, Verso Manfredonia. Giancarlo era mezzo matto ma sapeva fare gruppo come pochi, trainava tutti. E quando serviva era un attaccante di razza, come ha mostrato la storia.

 

La vostra pessima partenza in campionato e anche la recente sconfitta contro il Savio come si spiega? Ti sei mai dato una motivazione?

 

Credo che io per primo sia sceso in campo con troppa supponenza, presunzione. Non c’è nulla di male ad ammetterlo. Quando si vede una squadra l’anno prima vincere tutto e poi, pur con tanti nuovi innesti vedere tanti giocatori che giocano per sé, che puntano tutto sulle giocate da solista, c’è qualcosa che non va. E credo anche che io come chi era qua con me l’anno passato non sia stato tanto accogliente con i nuovi arrivati, coi più piccoli del 1995. In ritiro non li abbiamo riempiti di consigli, almeno io mi rendo conto di non averli aiutati a inserirsi come invece è stato fatto con me l’anno passato dai ragazzi del 1992 come Santori o dai 1993, che ci tenevano a farmi sentire parte del gruppo e dei meccanismi di squadra. Ora questo è un difetto eliminato e infatti sono arrivate 3 grandi vittorie, e purtroppo anche la sconfitta col Savio. Ma la mentalità è cambiata.

 

Forse volevi essere altrove, dopo aver vinto tutto?

 

Sarei falso se dicessi che non mi avrebbe fatto piacere trovare come coronamento di una grande annata una serie D, una squadra professionistica o almeno una bella Eccellenza, ma la dirigenza mi ha detto che non sono arrivate chances concrete per me. Ho potuto provare ed allenarmi questa estate con la Fontenuovese, eccellenza girone A, proprio nel campo dove avevo iniziato a giocare a calcio, a un chilometro e mezzo da dove abito, ma poi non me la sono sentita perché non ero convinto della destinazione e sono rimasto qua, ma con la solita grande voglia di fare, sono uno che anche a casa e nella vita non si ferma mai!

 

Ad esempio, sogni un lavoro alternativo al calcio? Che tipo sei nella vita?

 

Nella vita come nel calcio, oltre a studiare e giocare a calcio ho fatto di tutto. Ho cambiato squadre, appreso diversi metodi, cambiato 4-5 ruoli: sono partito terzino da piccolo, poi difensore centrale, verso i 12-13 anni ho fatto l’attaccante esterno e poi il playmaker alla Pirlo, che poi è un ruolo che a me fa impazzire. Dai 15 in poi quando ho fatto tappa alla Vigor, un po’ mezzala e da quando sono con Bellinati sempre numero 10, trequartista puro. Una partita alla Vigor l’anno scorso ho fatto anche il portiere!

Già oggi oltre a studiare da Geometra a monterotondo, senza rischiare mai la bocciatura, faccio qualche lavoro manuale, non dispiace, posso dire di non essere affatto pigro, ma un bel moto perpetuo, e di questo ringrazio l’educazione datami dai miei, dove stare con le mani in mano era il vero peccato mortale, perché non ti migliori. Se potessi vorrei fare il pompiere, già, se non sfonderò nel calcio, mi piacerebbe provare a lavorare come pompiere!

 

Mister Angelo Grande si è cogedato da voi dopo la sconfitta a Tor Sapienza, secondo te ha fatto bene?

 

Noi avevamo un bel rapporto con lui, sicuramente io l’avevo e la prendo come una sconfitta personale le sue dimissioni. Ma effettivamente una scossa l’ha data, e sapeva di darcela, è un tecnico espertissimo e se ha valutato così sapeva il fatto suo. Ma la colpa è più nostra che sua, noi giochiamo. Grande è un allenatore più classico, vecchia maniera, ci faceva lavorare tantissimo sul piano fisico e atletico, con mister Bellinati c’è più lavoro col pallone e tattica e meno parte atletica, ma non pensate ad un tecnico più giovane e quindi più “amico dei ragazzi calciatori”: pretende una disciplina ferrea lui come mister Grande. Al termine della partita col Savio era furibondo, a ragione, perché credo avesse visto che avevamo buttato parte della partita ricadendo nei vecchi atteggiamenti sbagliati di cui ti parlavo prima. Credo sarà stata l’ultima volta

 

Francesco, guardandoti mi ricordi Zidane, tu a chi ti ispiri?

 

Felice del paragone col francese, ma sono stra-tifoso della Roma, e quindi dico Totti, mentre il massimo della goduria, uno di cui rivedo ore ed ore di filmati, è Roberto Baggio: se sei italiano, più “dieci” vero di lui, non può esserci nessuno a mio parere: una leggenda. Come Andrès Iniesta, io come stile di gioco penso spesso a cosa farebbe lui in campo al mio posto, e provo qualche “pazzia” che a volte riesce.

 

Spesso si dice che per il sogno di fare sport e calcio ad alto livello voi dovete “dire no” a tante cose, a diversi svaghi da teenager…è vero? E qual è per te la più grande rinuncia?

 

E’ verissimo, non vero. Già solo per studiare bene e allenarsi bene e giocare di conseguenza dovremmo avere due vite. In più bisogna limitare le uscite con gli amici, che per me sono sempre la prima opzione, visto che detesto stare da solo, centellinare la discoteca e similari, dire no alla fidanzata quando si deve, le solite cose. Ma è un lavoro tutto di testa, di forza mentale. Una volta imparato è una soddisfazione sacrificarsi per ciò che ami. E a me pesa soprattutto non poter stare di più assieme a qualche ragazzo della Vigor con cui ho un gran rapporto come Mario Piccolo. La forza del campione è nella semplicità del carattere e nella pulizia del pensiero: lavoro bene,  ragiono bene, farò bene. Poi è difficile applicarlo, ma questo è altra storia.

 

Grazie Francesco, un piacere parlare con te, buon campionato!

 

Grazie a te e a tutti i lettori di Sportinoro, che nel loro piccolo aiutano a far conoscere le nostre imprese e le nostre storie!