A cura di Mario Gaetano
Dibattito vecchio come il mondo. Allenatori in cerca di una panchin ed allenatori rampanti che, invece, sbucano dal nulla ed allenano. Tecnici meritevoli che, invece, restano in disparte per giorni, mesi, anni senza essere presi in considerazione. Ne parliamo con uno di questi, Fabio Fratena, 62 anni, che dal 2022 è senza panchina. Dopo aver giocato ad ottimi livelli da calciatore professionista, ha allenato in diverse piazze (Monterotondo, Guidonia, Lodigiani, Sansovino, Cisco Roma, Cynthia, Fondi, Racing Aprilia ed Insieme Formia).
Mister perché un allenatore non viene più chiamato ad allenare?
“Perché molto spesso i giovani direttori nemmeno ti conoscono. Non sanno cosa hai fatto da calciatore e cosa da allenatore”.
La conoscenza personale è molto importante in questo campo?
“Assolutamente sì. Se non vieni chiamato per due o tre anni pensano che ti sia ritirato e che tu sia fuori dai giochi. Non è così”.
Impreparazione, mancata conoscenza, c’è altro?
“Adesso, con le nuove norme, si concede una seconda o anche una terza chance ad un allenatore. La Federazione dovrebbe monitorare discorsi del genere. Ci sono tecnici che si fanno esonerare per andare a prendere di più altrove…”.
Ma perché le società ed i direttori non vi conoscono?
“Serve proporsi. Servirebbe chiamare i direttori o i presidenti. Nel mio caso non sono mai stato uno che si proposto. Penso che se ti proponi non è logico a livello lavorativo. Le società conoscono le qualità di un allenatore, se devo propormi per lavorare siamo all’assurdo. Sarò l’ultimo dei romantici ma la vedo così”.
Cosa fa un allenatore che non ha panchina?
“In genere continua ad informarsi ed a studiare. Io faccio così e tutti i sabati e le domeniche vado sui campi. Vedo, dal vivo, tra le 60 e le 70 partite all’anno. Mi informo, studio i calciatori e le loro posizioni in campo per non farmi trovare impreparato nel momento in cui mi dovessero chiamare”.
Come vive un allenatore che non ha squadra?
“Non vive bene. Ci rimane male perché il telefono non squilla mai e quando squilla sono pour parler”.
In queste 70 partite che lei ha visto può fare il nome di un bravo allenatore che ha visto?
“Ce ne sono tanti bravissimi. Su tutti direi Andrea Bussone del Montespaccato. E’ giovane e fa giocare bene le squadre con il materiale che ha a sua disposizione”.
Che differenza c’è tra il calcio di una volta ed il calcio di oggi?
“Oggi tanti allenatori vogliono imitare, ma sarebbe meglio dire scimmiottare, la serie A. Parlo, ad esempio, con la costruzione dal basso dell’azione. Se hai un portiere dai piedi buoni e difensori eccellenti puoi farlo ma in campionati dalla D in giù quante squadre hanno una difesa capace di impostare il gioco e farlo partire da dietro?”
La moda è questa.
“Esatto. Ed è sbagliata. Quante squadre prendono gol in uscita perché si intestardiscono a non lanciare il pallone avanti ma vogliono cercare a tutti i costi il fraseggio da dietro?”
Se lo fa Guardiola tanti pensano di poterlo fare anche nella propria squadra.
“Se ti chiami Barcellona, Bayern o Psg è ammesso che tu parta e giochi da dietro, in Terza Categoria se fai una cosa del genere non stai bene con la testa. La regola di partire da fondo campo passandosi il pallone tra difensori e portiere l’hanno messa per spettacolarizzare il calcio. In realtà chi l’ha ideata non sapeva nemmeno di cosa stava parlando perché, evidentemente, non ha mai giocato a pallone”.
Ultima domanda. Come vede il calcio italiano in questo momento?
“Sta facendo dei passi da gigante ma all’indietro. Per la riprova basti pensare che una nazione come il Curacao è ai mondiali mentre noi ci prepariamo ad affrontare Irlanda ed una tra Galles o Bosnia negli spareggi. Qualcosa dovrebbe significare”.





