Storie di esseri umani e dei loro sogni.
Storie di campi di calcio e di uomini che hanno lasciato tracce della loro opera su ogni singolo filo d’erba che hanno calpestato.
“Sono nato a Belvedere Marittimo, un paesino della provincia di Cosenza, il 31 gennaio del 1952.
Ad Anzio sono arrivato nel 1961 quando avevo nove anni, con mio padre e mio fratello maggiore, poi nel ‘67 ci hanno raggiunti mia madre ed il resto della famiglia.
Mio padre e mio fratello lavoravano, mentre io andavo a scuola.
Poi, all’età di tredici anni ho lasciato gli studi ed ho cominciato a lavorare anch’io”.
Da qui prende il via la conversazione con Franco Rizzaro, in procinto di soffiare sulle sue prime settanta candeline e da trentadue stagioni a questa parte Patron di una società che con lui e grazie a lui ha scritto alcune delle pagine più belle ed intense di una storia ormai quasi centenaria.
La ripercorriamo con lui, uomo di ferro con una volontà d’acciaio.
Quella stessa volontà che con incredibile tenacia ed incrollabile amore nei confronti di un club che rappresenta per lui un sostanzioso pezzo di cuore, fin da quando, giovanissimo, abbandonò l’adorata Calabria per costruire il suo futuro con uno spirito di sacrificio ed una costanza che dovrebbero essere presi a modello ed insegnati a più di una persona.
Quando lo senti parlare e ripercorrere luoghi ed eventi ormai lontani, tratteggiare contorni dei tanti visi di oltre tre decenni del nostro calcio, hai davvero quella sensazione che in certi casi il tempo stesso trattenga il respiro e nuoti libero tra le sue onde.
Ma non c’è brutalità nello scuotersi la polvere di dosso.
Non è mancanza di riguardo verso il presente piegarsi alle proprie memorie.
È solo un gesto d’affetto e di consapevolezza.
Quella consapevolezza di chi sa di essere parte integrante di una storia che non ingiallisce, ma che miracolosamente resta viva ed attuale ad ogni suo sussulto.
Presidente, quando sei arrivato ad Anzio agli inizi degli anni sessanta è scoccato subito l’amore verso questa cittadina.
Com’è nato questo rapporto così profondo e viscerale?
“È nato perché la gente di Anzio si è dimostrata fin da subito generosa ed accogliente nei nostri riguardi.
Mi ricordo quando al mattino andavo a trovare mio padre e mio fratello al cantiere dove lavoravano e gli operai mi regalavano sempre un panino da portare a scuola.
A me la gente di cuore è sempre piaciuta e quella di Anzio di cuore ne ha sempre avuto tanto.
Per questo non ho mai lasciato questo posto”.
C’è stato un individuo in particolare che ti ha fatto avvicinare a questa società?
“Senza alcun dubbio dico Roberto Di Paolo.
Nei miei primi anni di calcio ero a Lavinio e lì sono rimasto per dieci anni, fino a quando con Scarsella, Marchetti e con lo stesso Roberto Di Paolo decidemmo di prendere l’Anzio.
All’inizio io ero il Responsabile del Settore Giovanile.
In seguito, sono diventato Presidente dell’intera società, anche se per un paio d’anni, tra il 1994 ed il 1996, il lavoro mi ha portato in Germania e sono stato costretto a dare in gestione la società.
Le cose però non andate come speravo e così, al mio ritorno, me ne sono fatto carico interamente io, ho saldato tutte le pendenze ed il mio amore per questa società è cresciuto ogni giorno di più”.
A proposito di amore, per te la famiglia ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale nella tua vita.
L’idea di coinvolgere pienamente la signora Antonella ed i vostri figli nella vita del club quando è nata?
“Mia moglie ha cominciato ad interessarsi, quando accompagnava Simone al campo negli anni della scuola calcio.
Da lì in avanti è stato un crescendo ed oggi posso dire che lei è davvero la prima tifosa dell’Anzio”.
Nei primi anni nel calcio, come ricordavi tu stesso, ti sei dedicato principalmente al settore giovanile.
D’altronde lo sanno tutti: hai sempre avuto un occhio paterno nei confronti dei ragazzi di Anzio e tanti di loro continuano a riservarti grande affetto.
“È vero, di testimonianze ne ricevo tante e questa è una delle maggiori soddisfazioni.
Ricordo che a quei tempi l’Elite non esisteva.
Allora i campionati erano soltanto Regionali o Provinciali e le nostre squadre erano composte interamente dai ragazzi di qui.
Per gli squadroni romani non era mai una passeggiata contro di noi ed io ne ero davvero fiero.
Le squadre che ho fatto io le hanno fatte in pochi.
Scrivilo, mi raccomando”.
È già agli atti, Presidente.
A proposito, quando hai rilevato interamente la società, quale obiettivo ti sei posto?
“Volevo vincere subito il campionato e ci siamo riusciti al secondo anno.
Allenatore era Claudio Ludovisi, fu una grandissima gioia per me.
In squadra c’era tutta gente di qui.
Sai che anche Guido Zenga faceva parte della rosa?”.
Un altro che il calcio l’ha avuto sempre nel sangue.
Più bravo da calciatore o da direttore sportivo?
“Guido non era un super giocatore, ma in campo si difendeva bene.
Ricordo che all’inizio finiva spesso in panchina, ma una volta che è entrato il posto non lo ha più perso.
Ora è diventato un bravo dirigente, uno che questo ambiente lo conosce molto bene.
Per me ormai è un amico, un ragazzo che ci mette la testa in quello che fa”.
Di successi ne hai colti tantissimi.
Qual è quello a cui sei più affezionato?
“Per dieci stagioni ho avuto la gioia di vedere questa società in Serie D.
Quello che più di tutti mi ha toccato il cuore fu quando ci arrivammo nel 2010 attraverso gli spareggi con Paolo D’Este in panchina.
Il 10 giugno, ossia tre giorni prima della finale di ritorno con gli abruzzesi del Mosciano, mi sono rotto un ginocchio e così non sono stato in grado di partire con la squadra.
Vuoi sapere cosa hanno fatto i ragazzi?
Dopo aver vinto, la sera stessa sono venuti tutti a trovarmi in ospedale per festeggiare insieme a me.
Mi sono commosso”.
La storia di un uomo però è contraddistinta anche da momenti duri e da sconfitte.
Qual è stata quella che ti ha fatto più soffrire?
“Quando le circostanze mi avevano portato a dare l’ultima volta in gestione la società è stata una grande delusione.
Lì ho sinceramente pensato di lasciare il calcio, perché mi sentivo disgustato da quello che vedevo e da certi personaggi che avevo incontrato.
Poi questa sensazione è passata ed ho deciso di proseguire”.
Ed è stata una fortuna, perché grazie a te ad Anzio sono transitati molti tra i più grandi giocatori del nostro calcio.
Mi dici quali sono stati i tre più grandi che hai visto indossare i colori biancazzurri?
“Hai ragione, qui ne abbiamo visti tanti di giocatori eccezionali.
Non cito Mario (Guida, ndr) che è mio genero perché non vorrei sembrare di parte.
Se devo fare solamente tre nomi, faccio quelli di Martinelli, Gamboni ed Antonelli.
Sono tutti ragazzi eccezionali ed hanno dimostrato qualità tecniche ed umane straordinarie.
Tommaso, per esempio, è tornato da noi dopo qualche anno e non posso esprimere la gioia che mi ha dato quando ha bussato alla nostra porta.
Una menzione speciale però permettimi di farla anche a David Papagna, che è stato un portiere eccezionale e che a mio figlio Simone ha dato e continua a dare insegnamenti preziosissimi”.
Per la tua filosofia e le tue idee di calcio qual è stato invece il tecnico con cui ti sei trovato più in linea?
“Quelli con cui sono andato più d’accordo sono stati D’Este, Caputo, Pernarella e Chiappara.
Con loro c’era più feeling.
Ricordo con affetto anche Franco Pagliarini, che ebbe il coraggio di basare la squadra sul gruppo dei ‘79, che in quella stagione dovevano fare la Juniores e che lui non si fece problemi a lanciare perché quella era un’annata formidabile”.
Quanto orgoglio hai provato la prima volta che hai visto tuo figlio Simone scendere in campo da titolare?
“A questo proposito voglio togliermi un sassolino dalla scarpa.
Di chiacchiere in questi anni ne ho sentite anche troppe, ma in realtà io non ho imposto a nessun allenatore di schierare mio figlio.
Simone ha subito tanti torti e troppe critiche per il nome che porta, ma con grande forza d’animo lui ha fatto la sua strada ed è diventato un grande portiere.
Sono orgoglioso di lui”.
Mario è un altro figlio per te.
Cosa hai provato il giorno in cui Francesca è venuta da te e ti ha detto che lo avrebbe sposato?
“Sono stato contento, perché Mario è un grande lavoratore ed un bravo ragazzo.
Mi considero un uomo fortunato, perché ho una famiglia unita e piena dei valori che considero più importanti.
I miei figli hanno scelto bene i rispettivi compagni e di questo sono felice”.
Sei stato più triste il giorno in cui Mario ha appeso gli scarpini al chiodo o ti senti più fiero adesso che sta dimostrando quale grande allenatore stia diventando?
“Mario è stato una bandiera dell’Anzio, ma come allenatore non si sapeva cosa sarebbe stato in grado di fare.
All’inizio sembrava quasi una scommessa puntare su di lui, ma adesso devo dire che mi sta proprio impressionando.
Ne ho visti pochi di allenatori bravi come lui e sono particolarmente contento che tutti i ragazzi lo rispettino e gli vogliano bene”.
Di traguardi ne hai centrati un’infinità.
Qual è il prossimo che speri di raggiungere?
“Dire che spero di tornare in Serie D è scontato, ma per farlo bisogna creare una base solida, altrimenti vai incontro a brutte figure.
Più di tutto, però, a me sta a cuore la mia famiglia.
Il mio obiettivo è la loro felicità, altro non chiedo”.
Presidente, negli ultimi trent’anni il calcio è cambiato tantissimo.
Riesce ancora a divertirti?
“Non me ne vogliano i giocatori di oggi, la mia non è una critica nei loro confronti, però hanno poco a che vedere con quelli di una volta.
Io però ho una visione personale ed il calcio lo faccio a modo mio.
Alla fine, a me basta che si affezionino a questa società, quando vengono qui da noi”.
Che voto daresti alla squadra di questa stagione?
“Questa squadra mi piace tantissimo.
Secondo me, nel nostro girone nessuno gioca bene come l’Anzio e neppure contro una corazzata come la Tivoli abbiamo demeritato.
Per me i ragazzi meritano un bel dieci”.
Presidente, giugno è vicino.
In quale categoria lo troviamo l’Anzio la prossima estate?
“Sarebbe stupendo tornare in Serie D, ma la strada è ancora lunga.
Intanto, arriviamo agli spareggi, poi vediamo che succede (sorride)…
Di certo posso dire che non lasceremo nulla d’intentato per farlo”.
La vita ti ha portato in dono le cose più preziose che un uomo possa desiderare.
Cosa speri di ricevere lunedì prossimo?
“Vorrei solo fare una grande festa ed avere tutti amici intorno a me.
Quelli veri, quelli di una vita…”.
Sarà certamente così.
Buon compleanno, Presidente.
(Si ringrazia per le foto Francesco Cenci)