La notizia del suo ingaggio da parte dell’Alberone, matricola terribile del Girone C di Promozione, è stata ufficializzata quest’oggi, anche se spifferi erano già trapelati alcuni giorni fa.
Christian Ippoliti riparte da un campionato al quale non ha mai preso parte in passato.
Lui che all’attivo vanta anche un gettone di presenza in B con la maglia dell’Avellino ha consumato gli anni più recenti della sua carriera soprattutto in Eccellenza tra Roma con la Monterotondo Lupa, Cisterna, Ciampino versante-Almas e Ladispoli.
La soddisfazione per aver abbracciato il progetto tecnico di un club che ha dimostrato di credere fortemente in lui si mescola però con la rabbia e la delusione legate al mancato ritorno a Rieti.
Una piazza che gli è rimasta appuntata sul cuore e nella quale non è riuscito a far ritorno nonostante tutti gli indizi estivi convergessero verso quella direzione.
Un matrimonio, quello con l’amarantoceleste, che a suo dire non si è celebrato nuovamente per l’improvviso ed inaspettato ripensamento di Fabrizio Paris, un tecnico con il quale aveva condiviso in passato fruttuose esperienze.
L’abbandono ed il desiderio di rivalsa: questi sono i sentimenti che caratterizzano le parole di Ippoliti e che generano il senso profondo di questa intervista senza peli sulla lingua, nella quale il trequartista romano spazia tra passato e presente, chiamando in causa anche altri personaggi e realtà.
Ed i suoi ricordi non sono tutti rose e fiori…
Christian, cominciamo dall’attualità: l’Alberone ha ufficializzato il tuo arrivo.
Cosa ti ha spinto ad accettare l’offerta del club di patron Centra?
“Innanzitutto, voglio dire che l’Alberone è stata una delle società che mi ha voluto di più e conto di non deludere le loro aspettative.
Ho accettato per tanti motivi.
La società ha fatto degli sforzi economici per portarmi lì e di questo le sono grato”.
A quando risale il tuo primo contatto con la tua nuova società?
“Risale all’anno scorso.
Ho avuto il piacere di conoscere il presidente in un bar vicino casa mia.
Mi ha chiesto se io fossi Ippoliti e mi disse che avrebbe fatto di tutto per portarmi nella sua squadra”.
Quale fu la tua risposta?
“Sorridendo gli ho promesso che ci sarei andato, se fossero arrivati in Eccellenza”.
Promessa mantenuta, anche se l’Alberone, appena promosso, giocherà in Promozione.
Scendere per la prima volta in carriera in questa categoria lo vivi come uno smacco o come l’opportunità di dimostrare qualcosa a qualcuno?
“Non ti nascondo che un minimo di paura c’è.
Sicuramente tante persone sono rimaste meravigliate di questa soluzione, ma ci vuole altro per buttarmi giù.
Ippoliti riparte da qui e lo fa con il coltello tra i denti, magari anche con l’intento di far capire a qualcuno che forse quest’anno si è sbagliato sul mio conto“.
Durante l’estate si era parlato molto di un tuo possibile ritorno a Rieti dove hai già vissuto anni importanti in C, D ed Eccellenza. Come mai è saltato tutto?
“Se devo essere onesto, ad oggi ancora non mi so dare una risposta.
A quei colori ho dato tanto e personalmente ho fatto davvero di tutto per andare incontro alla società.
Nei giorni in cui si parlava di un mio ritorno mi chiamavano in continuazione tante persone, tifosi e giornalisti, dicendosi felicissimi del mio prossimo ritorno.
Rieti è la mia seconda città.
Allo Scopigno ho vissuto momenti indimenticabili e avrei fatto davvero di tutto per tornare a vestire quella maglia…“.
E invece cosa è accaduto?
“Voglio essere franco e diretto: sono stato tradito.
Tradito forse dalla persona di cui mi fidavo di più: mi riferisco a Fabrizio Paris”.
Stai dicendo che il tecnico non ha spinto abbastanza con la società per riaverti a sua disposizione?
“Non è che non abbia spinto, in realtà io credo che abbia proprio remato contro.
Nonostante il direttore mi chiamasse, dicendomi che mi volevano lì perchè in squadra non c’erano giocatori con le mie caratteristiche, è stato il tecnico ad opporsi ad un mio ritorno.
Mi sono sentito offeso sul piano umano da questa situazione”.
Eppure insieme ad altri calciatori che poche settimane fa sono tornati a Rieti hai contribuito a fargli vincere una Coppa Italia.
Temeva la tua personalità nello spogliatoio, secondo te?
“Con il mister ho vinto una Coppa Italia a Rieti ed un campionato con il Monterotondo Lupa giocando sempre, anche in precarie condizioni fisiche come nella finale contro il Pisoniano.
Con lui avevo un rapporto splendido anche fuori dal campo.
Adesso non so cosa gli abbia fatto cambiare parere.
Forse però è vero che aveva paura del mio carattere.
Io dico sempre le cose in faccia e non ho peli sulla lingua.
Questo è stato sempre un problema per me in passato.
Probabilmente si sente più sereno nel gestire uno spogliatoio con persone molto più tranquille…”.
Ma Ippoliti è davvero una testa calda?
“Non posso negare di aver avuto qualche problema in passato, ma a trent’anni la testa di una persona cambia.
Il mio desiderio era solo quello di mettermi a disposizione, aiutando nel mio piccolo una città ed una squadra che amo e che ha dei tifosi meravigliosi”.
Sei rimasto ancora in contatto con qualche tuo compagno in amarantoceleste dell’epoca e che adesso è tornato a vestire quella maglia?
“Ogni tanto mi sento con Diego (Petrongari, ndr), un grande amico dentro e fuori dal campo”.
In te quale sentimento prevale attualmente?
“Senza dubbio, il rammarico.
La vita, però, va avanti e devo voltar pagina.
Del resto, il calcio me ne ha già data qualcuna di batosta…”.
Qual è stata la più dolorosa?
“Mah, forse aver potuto fare solo cinque anni di professionismo.
Anche lì ho sbagliato a fidarmi di persone che di promesse ne facevano tante, ma alla fine non ne hanno mantenuta alcuna…”.
Se potessi viaggiare a ritroso nel tempo, quale maglia indosseresti di nuovo e quale piazza dove sei stato eviteresti come la peste?
“Eviterei di andare ad Avellino, dove ho fatto una presenza in B a diciannove anni, ma che non si è rivelata un’esperienza fruttuosa.
Per la mia crescita sarebbe stato preferibile fare un anno in C, scelta che peraltro feci l’anno successivo.
Per quanto riguarda la maglia che indosserei immediatamente non posso che ripetermi e rispondere che vorrei avere l’amarantoceleste addosso”.
Quale consideri il tuo difetto principale dal punto di vista caratteriale?
“Credo sia proprio il fatto di non aver peli sulla lingua.
Non amo le ingiustizie, mi fanno uscire fuori di testa.
Non mi piacciono le persone che abusano del loro potere.
Inoltre, sono un ragazzo tranquillissimo, ma dentro al campo mi trasformo perchè non amo perdere.
Come dicevo prima, ho un carattere forte in campo e questo probabilmente è stato sempre un problema.
Nel calcio, però, ho imparato che è meglio stare zitti anche quando hai la ragione dalla tua“.
Alcuni sostengono che calciatori dal grande spessore tecnico e con alle spalle un grande passato tra i professionisti come te ed altri tendano poi a vivacchiare tra i dilettanti.
Tu come la vedi?
“Ogni giocatore credo abbia una sua storia.
A mio avviso, non è facile sognare e toccare con mano grandi palcoscenici e poi ritrovarsi in categorie minori.
Non credo comuqnue che si tenda a vivacchiare, ma piuttosto, e voglio essere sincero, che abbiamo una carenza caratteriale.
Forse chi come me ha giocato in categorie superiori inconsciamente può pensare he gli basti il 60% per fare la differenza e questo è un grossissimo sbaglio.
A volte il talento non basta neanche in queste categorie.
Devi starci con la testa”.
Tra i dilettanti qual è stato il giocatore più forte che hai visto all’opera?
“Ho in mente tre nomi: Pietro Zotti, Flavio Marzullo e Giampiero Perrulli”.
Tre giocatori dalle caratteristiche simili alle tue.
Quando hai deciso che il trequartista sarebbe stato il tuo ruolo?
“Sinceramente non ho deciso io, ma chi mi allenava da piccolo e devo dire che è il ruolo che mi piace di più, anche se è da due anni che non riesco più a farlo per questioni di modulo”.
Secondo te, perchè il ruolo del trequartista è sempre così controverso?
“Credo che tanti allenatori non abbiano questa forma di pazzia nel far giocare un giocatore con quelle caratteristiche.
Il trequartista è un giocatore che potrebbe sparire per mezz’ora nel corso della partita per poi accendendersi e farti vincere le partite.
E’ un rischio ed una scommessa.
Il calcio è cambiato.
Ormai è uno sport per atleti e non c’è più lo spettacolo che c’era prima.
Ecco perchè il trequartista è una razza in via d’estinzione e molti preferiscono usare un altro tipo di giocatore in campo.
In più, aggiungo che tanti allenatori ormai pensano prima a non prenderle, piuttosto che ad imporre il loro gioco”.
La scorsa stagione hai indossato la maglia del Ladispoli nella seconda parte del torneo.
Cosa ti ha lasciato quell’esperienza?
“E’ stata un’esperienza sfortunata, anche se ho incontrato delle bellissime persone e quotidianamente sento ancora i miei ex compagni, tutti splendidi.
Ricordo con grande piacere anche il presidente Umberto Paris, una persona seria come ormai nel calcio se ne trovano sempre più di rado.
Sinceramente non sono riuscito a dare quanto avrei voluto e quanto loro si aspettavano da me.
Probabilmente sono rimasti delusi da me, ma posso dire che anch’io sono rimasto deluso da qualcuno, quando a fine anno non sono stato chiamato, come invece è capitato a tutti gli altri miei compagni, neppure per dirmi di trovarmi un’altra sistemazione.
Ecco, questi sono dettagli che per me non riguardano solo il calcio, ma la vita ed i rapporti in genere.
In questo sono rimasto deluso.
Penso che il calcio dilettantistico si differenzi dalle categorie superiori proprio per i rapporti interpersonali.
Mah, forse pensavano che avrei vinto le partite da solo.
Questo comunque non basta a portare rancore ad una persona, visto che credo di essermi comportato bene con tutti”.
Con quale allenatore ti sei trovato meglio in assoluto?
“Uno su tutti: Mauro Venturi.
Una persona eccezionale, dalla grande umanità.
Ci bastava uno sguardo per intenderci.
Il mister diceva di rivedersi in me, anche se sosteneva che era lui il più forte (ride).
Sapeva come prendermi, forse è per questo che a Cisterna feci sei mesi spaventosi.
Lo sento ancora quasi tutti i giorni e gli auguro di tornare presto in panchina perchè è un grande allenatore”.
Che tipo di campionato può fare l’Alberone?
“Non conoscendo la caratura delle altre squadre e il campionato in se e per se non saprei dirlo.
Il presidente è una persona ambiziosa e noi faremo del nostro meglio per dargli delle grandi soddisfazioni.
In più abbiamo gente importante come Cacciaglia, Rufini, novelli…
Insomma, margini per far bene ce ne sono”.
Che impressioni hai avuto conoscendo il tecnico?
“Il mister lo conosco ancora poco, ma all’impatto mi è sembrato una persona brava e molto motivata”.
Alla soglia dei trent’anni, mi dici in cosa pensi di essere migliorato e su cosa invece hai ancora da lavorare tecnicamente e caratterialmente?
“Sicuramente sul lato caratteriale sono migliorato.
Come ricordavo anche prima, non sono più la testa calda che ero un tempo, ma sono diventato molto più riflessivo.
Tecnicamente non so che dirti, anche se forse non si finisce mai di migliorare.
Quando si cresce comunque vedi la vita in un altra maniera ed oggi penso di aver raggiunto un livello di maturazione in tutti i campi”.
Ti senti di fare una promessa all’Alberone che ha puntato forte su di te?
“Prometto che metterò tutto il mio impegno a disposizione.
Ho una speranza, ma preferisco non rivelarla, altrimenti poi a fine anno me ne fanno una colpa (ride)…”.
Domenica comincerete fuori affrontando il Team Nuova Florida.
Sei pronto? E se lo sei, hai i novanta nelle gambe?
“Sono pronto e sinceramente non vedo l’ora di iniziare.
Per quanto riguarda i novanta minuti non gioco una partita dall’ultima giornata dello scorso campionato, quindi non posso averli.
Sarà comunque il mister a decidere”.
Ti lascio carta bianca per un’ultima dichiarazione.
“Concludo, dicendo che vorrei tanto che fosse un anno splendido per l’Alberone.
La mia speranza è questa”.