di Andrea Dirix – dirix.andrea@libero.it
Se a quarantuno anni suonati trovi ancora dentro di te risorse fisiche e mentali sufficienti per giocare a calcio, al nostro calcio, i casi sono due: o sei un marziano, o più semplicemente sei Alessio Piccheri.
Da sempre venerato dai compagni di squadra, quanto rispettato dagli avversari.
Spesso temuto, se non odiato, da chi sugli spalti sosteneva una bandiera diversa dalla sua.
Quelli come lui li ami oppure li detesti, le vie di mezzo sono bandite.
Impossibile avere una visione univoca di un atleta che probabilmente incarna una visione romantica ma al contempo realistica del terreno di gioco.
Vecchio stampo, si diceva un tempo.
“Piccheri! Cinque, grazie!”.
Magari è davvero tutto lì.
Da lì comunque si parte e poi magari lì si finisce anche per approdare, ma nel mezzo devi fluttuare tra ricordi e suggestioni, tra bivi mancati ed allori conquistati.
Partiamo da domenica scorsa: hai fatto gol e va bene, però sei stato anche espulso per doppia ammonizione…
“Sul primo giallo nulla da dire, sul secondo invece da dire ne ho parecchio.
Me lo hanno esibito per aver inveito contro il mio compagno Marinucci…”.
Spiegati meglio.
“Io ce l’avevo con Lele, gli stavo dicendo di tenere la posizione.
L’arbitro ha capito male e mi ha sventolato il secondo cartellino giallo per reiterate proteste.
Almeno questa è stata la sua spiegazione a fine gara, quando gli ho chiesto delucidazioni in merito dopo una bella doccia, quasi fredda”.
Questo ti obbligherà a saltare la supersfida contro la Polisportiva Monti Cimini.
Quanto ti pesa da uno a dieci vederla dalla tribuna a Vignanello?
“Mi pesa tantissimo, è naturale.
E mi pesa ancor di più perchè oltre a me mancherà per squalifica anche Christian Conti e domenica affronteremo una squadra di grande livello che lì davanti ha individualità che fanno paura come Italiano, Di Ludovico e Giurato ed è allenata da un tecnico molto preparato come Scarfini.
Noi si gioca per vivere partite di questo tipo.
Quando ce le sottraggono, è un problema…”.
Credi che il passaggio decisivo per voi sia domenica?
“Bisogna ragionare in prospettiva.
Certo, sarà uno snodo importante, però la strada è ancora lunga.
Nell’anno in cui vincemmo il campionato con il Monterotondo Lupa venimmo superati a poche giornate dalla fine dal Terracina nello scontro diretto, ma poi riuscimmo ad effettuare il controsorpasso quando nessuno più se lo aspettava.
Le sorprese sono sempre dietro l’angolo…”.
Voi ci arrivate alla grande: sette vittorie consecutive non si ottengono mai per caso.
Possiamo dire che la Play Eur ha finalmente trovato la quadratura del cerchio?
“Dopo il cambio tecnico c’è stata un po’ di impasse naturale.
Alcuni giocatori erano molto legati a mister Luzardi.
Bellei però ha restituito equilibrio e semplicità alla squadra.
Lui conosce benissimo questa categoria e non ha la presunzione di ritenersi l’inventore del calcio.
In più va aggiunto che per valori era scontato che, prima o poi, questa squadra venisse fuori…”.
Quali sono le difficoltà maggiori che stai riscontrando in una categoria che per te rappresenta una novità?
“Avverto difficoltà soprattutto sotto il profilo degli allenamenti che qui si svolgono nel tardo pomeriggio e si concludono alle nove di sera e che riguardano il gruppo e non la cura del singolo.
Inoltre, devo dire che trovo qualche difficoltà anche nel rapportarmi con i direttori di gara.
Questione di dialogo e di approccio da parte loro”.
Alla fine della scorsa stagione, culminata con quell’indimenticabile ritorno in Serie D dell’Anzio, molti credevano che per te quello potesse rappresentare il fatidico canto del cigno, e invece hai deciso per l’ennesima volta di rimetterti in gioco.
Merito di un elisir o di che altro?
“Beh, innanzitutto devo ringraziare la mia famiglia per i geni che mi ha trasmesso (sorride), poi una buona parte del merito va alla cultura sportiva ed al senso del sacrificio che mi sono stati inculcati fin da ragazzino.
Ovviamente un’importanza rilevante l’ha anche l’attenzione alla dieta.
In queste categorie mi capita spesso di vedere ragazzini che prima di una partita mangiano le patatine fritte.
Cose da pazzi.
Per me è mancanza di professionalità”.
A proposito di arrabbiature, ti dà fastidio quando trovi qualcuno che ti definisce un giocatore scorretto?
“No, perchè ho sempre accettato di buon grado il giudizio dei tifosi e degli addetti ai lavori, fossero questi più o meno preparati.
Io penso che nel calcio ci siano i Nesta ed i Baresi, ma anche i Samuel ed i Materazzi.
Io appartengo a quest’ultima razza.
Il mio maestro è stato il compianto Aldo Maldera ai tempi delle giovanili nella Roma ed a lui devo moltissimo.
Sono un difensore vecchio stampo, dov’è il problema?”.
Da tempo si dice che in Italia i difensori non sanno più marcare come si usava una volta.
“E’ un problema generazionale, secondo me.
Quando uscii dalla Primavera della Roma, si viveva un altro tipo di calcio: i procuratori erano pochi, non c’era internet.
Nelle scuole calcio t’insegnavano il senso della marcatura, il contatto con l’avversario, cose che adesso sembrano quasi sparite e che invece rappresentavano l’ABC per qualsiasi difensore degno di questo nome.
Adesso vanno di moda gli scienziati, i Pep Guardiola, quelli che obbligano il portiere a far ripartire sempre il gioco dalla difesa e che sono più contenti nel vedere un terzino che accompagna la fase offensiva, piuttosto che uno che tiene il suo uomo.
Prendete i gol su palla inattiva: quanti se ne vedono adesso?
Beh, una volta per farlo dovevi quasi ridurti la faccia ad una maschera di sangue.
Io vengo da una scuola diversa.
Dopo la Roma andai a Pomezia in D e le avversarie si chiamavano Alcamo e Bagheria.
Se non ti svegliavi presto, erano dolori”.
Qual è l’aspetto del nostro calcio che ti fa inviperire di più?
“La mancanza di programmazione.
Con la crisi economica in cui ci dibattiamo ormai da anni essa potrebbe rappresentare la base da cui ripartire, ma servirebbero imprenditori illuminati e non se ne vedono molti in giro.
Lavorare con i giovani potrebbe rappresentare un trampolino per le società, ma la maggior parte dei presidenti investono per una o due stagioni e poi non pagano più i rimborsi.
Prendi uno come Franco Rizzaro.
Anche lui ha avuto momenti difficili, però è stato in grado di vedere cose che agli altri sfuggivano ed è sempre lì.
Tanto di cappello a gente del genere.
Devo dire che anche qui alla Play Eur vedo dirigenti capaci e lungimiranti.
Questo mi fa ben sperare”.
Mettiamo che a fine anno il presidente ti dice: “Alessio, l’anno prossimo ti vorremmo come allenatore o come direttore sportivo”.
Tu cosa gli rispondi?
“Gli rispondo che non capisce niente di pallone (ride)…
Scherzi a parte, sono reduce da un infortunio che mi ha tenuto fuori per più di un mese ed in questo periodo ho riflettuto a lungo ed ancora non ho deciso se continuare o smettere.
Il patentino da allenatore l’ho preso nell’ormai lontano 2005, ma è un ruolo che non mi piace per come viene interpretato qui da noi.
Vedo tanta gente che lo fa per passione e con scarsa conoscenza della materia e degli interpreti.
Il mio sogno sarebbe quello di visionare ragazzi interessanti in Italia o anche all’estero e portarli poi in realtà che siano in grado di farli crescere.
Staremo a vedere…”.