Domenica di break per il massimo campionato regionale, con le trentasei formazioni che lo compongono impegnate a recuperare energie in vista degli ultimi due turni.
Non fa eccezione il Certosa, che alla ripresa ospiterà l’ormai tranquillo Terracina di Pernarella con l’obiettivo di centrare un successo che ufficializzerebbe lo storico approdo ai play-off nazionali per la formazione di mister Marco Russo.
A fare il punto della situazione in questo caso è l’ultimo arrivato in ordine di tempo è Nico Paterni, esterno destro con trascorsi nel settore giovanile della Lazio ed un’interessante esperienza nei campionati greci ed albanesi dopo quelle in Serie C in piazze come Andria e Pagani, tra le altre.
Ternano di nascita (è tifosissimo delle Fere da sempre), Paterni ha realizzato buona parte del suo percorso agonistico lontano dalla sua terra e, pur avendo vissuto come tutti momenti positivi ed altri meno, non rinnega nessuna delle sue scelte.
La mentalità è quella di un ragazzo aperto e generoso ed abituato da sempre a guardare con ottimismo e fiducia allo svolgersi degli eventi.
A lui il compito di presentarci il momento in casa neroverde, senza lesinare memorie davvero preziose.
Come nasce il Paterni calciatore?
“I primi calci li ho tirati nell’oratorio della mia parrocchia, dove l’allenatore lo faceva mio padre e tra noi due furono subito scontri.
Non a caso, appena ho potuto me ne sono andato a giocare a Narni (ride)…”.
Lì hai cominciato ad essere attenzionato dai professionisti: Inter, Udinese, ma poi scegliesti la Lazio.
Perché?
“Nel corso degli anni non mi sono mai posto problemi legati agli spostamenti, ma allora ero piccolo ed i miei preferirono mandarmi lì per questioni di vicinanza”.
Che esperienza è stata quella in biancoceleste?
“Bellissima, me la tengo stretta al cuore perché mi ha fatto crescere.
Alloggiavo nel convitto gestito da Suor Paola in zona Bravetta e lì si poteva venire a contatto con situazioni umane anche difficili ed alle quali non ero abituato.
Io però non mi sono mai sentito fuori luogo, anzi.
Tutto questo è stato importante sotto il profilo umano e mi è servito nel corso degli anni quando sono andato a giocare all’estero.
Alla Lazio ho avuto la fortuna di vincere tanto e di conoscere allenatori importanti come Mariani, ternano come me, Inzaghi e Bollini, ma purtroppo il nostro gruppo ha vissuto anche la tragedia di perdere Mirko Fersini.
Condividere questo dolore immenso a quell’età ci ha unito ancor di più ed anche oggi, a distanza di anni, ci sentiamo ancora fratelli ed appena possibile ci ritroviamo per qualche bella rimpatriata.
L’ultima in occasione del matrimonio di Lombardi.
Il calcio ti permette di instaurare legami profondi, specialmente quando condividi un percorso di anni con lo stesso gruppo.
Quando cresci, è diverso perché lo vivi più come un lavoro, ma quel periodo è stato splendido…”.
Ieri sera Simone Inzaghi ha centrato la sua prima semifinale Champions da allenatore.
Ti aspettavi di vederlo arrivare così in alto?
“Se lo merita per la persona che è.
Non sempre mi faceva giocare ed a volte mi arrabbiavo per questo, ma nel mio ruolo c’era anche uno come Keita.
Con il tempo però ho capito che il ruolo del tecnico non è semplice.
Con me il mister è sempre stato leale, sapeva tenere la squadra costantemente sul pezzo.
Una volta per stimolarmi disse a mio padre: “Vede, suo figlio è forte, ma è come se abbia deciso di montare un motore gpl all’interno di un telaio Ferrari”.
Negli anni successivi ho notato che spesso ha adottato anche in Serie A la strategia che utilizzava con noi, inserendo nel secondo tempo giocatori più esplosivi e dinamici per vincere le partite alla distanza”.
In un lontano futuro ti vedi come allenatore?
“Assolutamente no, non fa per me.
Al massimo potrei fare il preparatore atletico, sono troppo fumantino per ricoprire un ruolo come quello del tecnico (ride)…
Detto questo, se dipendesse da me, io non smetterei mai.
Mi piace troppo giocare.
Quando sto fermo, io mi sento male”.
Gli anni all’estero sono stati determinanti, non ne hai mai fatto mistero.
“Ho giocato nell’Achairnakos, un club nei pressi di Atene, nella Serie B greca e lì ho ritrovato Jacopo Ferri.
All’inizio eravamo entrambi un po’ diffidenti l’uno dell’altro.
Capirai, lui ex romanista, io ex laziale (sorride)…
Invece ho conosciuto una persona stupenda ed essendo gli unici due italiani in squadra abbiamo legato moltissimo.
Del resto, io sono sempre stato abituato a viverlo con tranquillità il calcio.
All’interno di uno spogliatoio a me piace far gruppo, non riesco proprio ad entrare in competizione con gli altri”.
Poi è arrivata la possibilità di andare in Albania…
“La Dinamo venne acquistata da un imprenditore italiano che per la panchina scelse Fabrizio Cammarata ed andai lì.
Inizialmente ero un po’ restio, ma sbagliavo di grosso.
L’Albania è bellissima ed i suoi abitanti sono persone solari, gentili ed accoglienti.
Mi sono innamorato di luoghi come Tirana e Saranda.
Sono stato lì per tre anni e non nego che ci sarei rimasto molto volentieri”.
Ci racconti com’è nata la possibilità di approdare al Certosa?
“Ad inizio anno mi sono allenato a Chiasso.
Ho ricevuto qualche proposta dalla Serie D e dall’Eccellenza, ma ero perplesso all’idea di scendere in categorie all’interno delle quali devi calarti con la testa giusta, altrimenti corri il rischio di fallire amaramente.
Io non cercavo semplicemente un posto per passare il tempo ed in cui provare a rimettermi in forma ed il Certosa è stata una scelta azzeccatissima perché ha saputo stimolarmi attraverso l’obiettivo dei play-off.
Naturalmente è stata decisiva la presenza in squadra di Jacopo, però qui al Certosa mi sono sentito immediatamente a casa.
Non sbaglia chi definisce questo club una famiglia, perché tutti, dal mister al direttore passando per i compagni di squadra ti fanno sentire a tuo agio.
Peccato solo che venga a vederci poca gente, perché questa squadra meriterebbe maggior sostegno per il percorso che sta facendo”.
Il destino però ha voluto che dovessi ritardare il tuo esordio.
“Colpa mia.
Era talmente viva dentro di me la voglia di tornare in campo che non sono riuscito a gestirmi e mi sono procurato uno strappo in allenamento.
Purtroppo fa parte della mia natura, non mi sono mai risparmiato.
Magari è il limite di uno che nella sua carriera ha sempre fatto il quinto, facendo mille volte su e giù lungo la fascia.
Adesso comunque sono al 60% e conto di arrivare nelle migliori condizioni entro la fine di maggio”.
Nico, negli ultimi due mesi avete sempre vinto.
Solo contro il Sora non avete centrato i tre punti, anche se quel giorno tu sei stato tra i migliori in campo.
“Tanto di cappello a loro per quanto hanno fatto.
Sono stati costruiti per il salto di categoria e lo hanno conquistato meritatamente, anche se per quanto riguarda la partita è rimasto un po’ di amaro in bocca per le occasioni costruite e non sfruttate.
Tutto sommato, però, io credo che quella sconfitta sia stata anche salutare, perché ci ha fatto tornare con i piedi per terra e ci ha insegnato che bisogna pedalare per raggiungere la meta.
L’obiettivo bisogna inquadrarlo bene per raggiungerlo”.
Mancano solo tre punti per conquistare i play-off, ossia un traguardo che sarebbe straordinario per il club.
Come state vivendo questa fase?
“Nel modo di sempre, non cambia nulla.
Siamo consapevoli di ciò che affrontiamo e giochiamo ogni domenica per provare a conquistare la vittoria.
Per fortuna in squadra abbiamo giocatori d’esperienza che aiutano i più giovani a gestire momenti importanti come questo”.
La regular season si chiuderà il 7 maggio, mentre l’andata della semifinale play-off avrà luogo tre settimane più tardi.
Nell’eventualità che riusciate a conquistarla, come si gestisce un’attesa così lunga?
“Devi rimanere concentrato e non rilassarti.
Se vivi alla leggera quelle settimane, poi diventa tutto più complicato.
Io comunque sono venuto qui per vincere e sono focalizzato su questo.
Poi, come dicevo prima, per allora dovrei essere al 100%, quindi per quanto mi riguarda sarà un periodo prezioso”.
Qual è la caratteristica dell’ambiente neroverde che ti piace maggiormente?
“Il fatto di sentirsi in famiglia, come sottolineavo prima, ma anche la serenità, la correttezza e la serietà della dirigenza e dell’allenatore.
Sono tutte componenti importanti e che nel calcio non si trovano tanto facilmente”.
Che idea ti sei fatto dell’Eccellenza laziale?
“Io penso che il livello si sia abbassato un po’ in tutte le categorie negli ultimi anni.
Forse tra i dilettanti incide anche la regola sugli under, che trovo penalizzante sia per le squadre che per gli stessi giovani.
Un calciatore il suo spazio dovrebbe trovarlo se è forte, non perché gli allenatori sono costretti ad impiegarlo…”.
Che obiettivi ti poni per il prossimo futuro?
“Qui mi trovo bene e non escludo assolutamente di rimanere, ma per il futuro non ho ancora pianificato nulla.
Qualche chiamata l’ho già ricevuta, ma a tutti ho risposto che in questo momento sono completamente focalizzato sul nostro obiettivo e non ho in mente altro.
Io amo il calcio e non ho mai smesso di sognare.
Il Certosa ha creduto in me e mi ha aspettato dopo l’infortunio, quindi voglio ripagare il club per la fiducia e godermi fino in fondo la gioia di essere tornato a giocare”.