DOPPIO SALTO DI CATEGORIA NEL GIRO DI DODICI MESI: E’ UNA SERPENTARA DA DIO

DOPPIO SALTO DI CATEGORIA NEL GIRO DI DODICI MESI: E’ UNA SERPENTARA DA DIO

Oggi è stata scritta una poesia.

Concedeteci di essere ridondanti per una volta, ma oggi al Fausto Cecconi è stata vergata una delle pagine più pure e belle che la storia recente del nostro calcio regionale abbia narrato.

Insieme ai colleghi Caprino e Tesauro e, da questa stagione con la presenza dell’infaticabile Bastianelli, abbiamo avuto la fortuna di seguire passo dopo passo l’avventura di una squadra sorta dalla volontà, tetragona, caparbia, magari anche presuntuosa, di unire i destini di due piazze che fino a poco tempo prima si guardavano in cagnesco.

Sì, perché quando vennero ufficialmente dati i natali alla neonata Serpentara BellegraOlevano più d’uno nel nostro ambiente storse il naso, conscio delle rivalità e dei fieri campanili delle due comunità montane.

Coloro che sancirono il patto di sangue, Walter Falanesca, Luciano Ferro, Filippo Albensi ed Alfredo Berasini su tutti, andarono avanti comunque e non li abbatté di certo il primo anno, di rodaggio, chiuso al quarto posto nel C di Promozione.

S’incaponirono ed andarono avanti per la loro strada, quella Serpentara tortuosa che ha dato il nome al club e che unisce i comuni un tempo rivali ed oggi affratellati da un vincolo di cuoio e di sangue.

Esiste forse una data precisa alla quale si può far risalire l’incontenibile felicità di oggi.

C’è chi la fissa al 17 giugno 2012, dicendo che quel giorno si gettarono le basi per la costruzione di una squadra che due anni più tardi avrebbe abbandonato le dimensioni della propria storia per penetrare quelle della leggenda.

In quei giorni nacque il grande Serpentara, pur tra qualche incidente di percorso e polemica di contorno.

Nel giorno del trionfo vanno menzionati anche i tecnici che per periodi più o meno lunghi nel triennio l’hanno guidata.

Ci riferiamo ai vari Mariani, Berti, Del Grosso e Centra.

Il Serpentara è arrivato in D anche grazie a loro.

Ci è arrivato però anche grazie a chi ha dato un grande contributo per edificare un palazzo da mille e una notte.

Sottacere i meriti dell’ex direttore sportivo D’Antoni, dimessosi all’indomani delle roventi polemiche seguite al match di Coppa Italia con l’Audace SanVito Empolitana, sarebbe a dir poco ingeneroso.

Lui ha scelto in prima istanza numerosi dei protagonisti, i cui volti rimarranno per sempre scolpiti nella memoria degli sportivi locali.

Ce n’è uno però che su questa squadra fantastica ha apposto molto più che la sua firma in calce .

Le ha dato la sua tigna, le ha dato una disciplina tattica che in questa categoria che è raro vedere.

Le ha dato anche la rabbia delle occasioni mancate in precedenza.

Sì, perché il signor Fabio Lucidi, che qualche campo in giro per l’Italia lo ha visto e lo ha calcato, per qualche strano mistero da anni è relegato nei meandri bui e tormentati del dilettantismo laziale, mentre gente evidentemente più reclamizzata e “munifica” (…) ha avuto ben altre occasioni e ribalte.

Colpa anche di quella scimmia dispettosa che per qualche stagione sembrava aver deciso di prender dimora sulla sua spalla.

I terzi posti in serie a Pisoniano, Frascati e San Cesareo, la Coppa Italia persa in finale contro il Cisterna.

E giù i soloni a dire: “Lucidi? E’ un perdente”.

Serviti.

Lui che ha giocato a Ferrara, Ancona e Siracusa ha ingioiato il rospo e le critiche di chi magari aveva giocato, con tutto il rispetto, solo ad Otricoli o a Montorio ed è ripartito dalla Promozione.

Una Promozione a vincere, certo, ma con tutte le pressioni che derivavano dallo status di una squadra progettata per quel fine e che al suo arrivo balbettava intorno al settimo posto.

Ci ha lavorato sodo, Lucidi.

Certo, il materiale umano era di prim’ordine, altrimenti sarebbe stata dura anche per lui, però lui ha avuto il merito di infondere fiducia ai suoi uomini.

Ha lavorato sulle loro teste e poi le ha guarnite della sua idea di gioco.

“Lucidi è un catenacciaro”, altra bestemmia calcistica ricorrente.

Lucidi è semplicemente un artista della fase difensiva e della ripartenza corta.

Un gioco semplice, ma efficace e quanto mai fastidioso per chi deve studiare contromisure.

Un gioco curato anche nelle palle inattive perché da quelle, si sa, vien fuori la metà dei gol per statistica.

Raddoppi, sacrifici e coperture preventive: da questo si riparte per poi andare a far male all’avversario.

Stimolando l’identità di un gruppo che si è miscelato con il popolo che da fuori lo sosteneva tanto da diventarne parte integrante, il tecnico ha ottenuto il massimo dai suoi che lo hanno seguito in modo pedissequo e che lui ha difeso da tutti anche nei momenti di maggior cimento.

E sottotraccia ce ne sono stati anche quest’anno.

Lucidi ed i suoi uomini ne sono venuti fuori alla grande.

Sempre.

Se lo scorso anno il trionfo era arrivato quasi all’ultima curva contro quel Cre.Cas. che si era dimostrato antagonista più che valido, questo in Eccellenza c’è voluto un impegno massimo.

A partire dall’inizio, quando per scelta si era deciso di puntare sul gruppo che aveva portato per la prima volta nella sua storia Bellegra ed Olevano sulla cima del calcio regionale.

“Scelta sbagliata, quelli sono giocatori di categoria e finiranno con l’essere stritolati”, gracidarono le solite rane di aristofanea memoria.

Davanti a quei giocatori di categoria c’è finita solo l’Albalonga che ha dovuto innescare la sesta per finire con il muso avanti e comunque ha dovuto render grazie al Città di Minturnomarina che all’ultima giornata li ha bloccati sul pari.

“Una mazzata, ora il Colleferro gliene farà tre nello spareggio”, vaticinarono le prefiche regionali.

I rossoneri, schiantati poche settimane prima al Caslini, hanno subito identica sorte anche al Cecconi.

Il resto è storia recente.

La drammatica semifinale con i marsicani del Paterno, vittoriosi all’andata in una giornata contraddistinta dalla rete di un portiere e dalla doppietta di un attaccante che sembrava Re Mida.

E poi il ritorno, dolcissimo per la manita rifilata agli abruzzesi, eppure amaro, amarissimo, per il gesto improvvido di un singolo che stava per rovinare l’ebbrezza di tutti.

La squalifica poteva essere esiziale, invece il Serpentara ha estratto gli artigli anche al Del Duca di Ascoli Piceno, gettando le basi per un epilogo memorabile.

E nella memoria di tutti resterà questo incredibile, pazzesco, ardimentoso 14 giugno 2015, perché a Petrucci, Brasiello, De Santis, Rubino, Rocchi, Scotto Di Clemente, Dominici, Empoli, Maione, Barile, Fazi, Generoso, Taglietti, Morici, Petrangeli, Spaziani, Mattei, Carpentieri, a Casciotti che era squalificato, agli altri ragazzi che non erano in distinta ed ai tanti, tantissimi, che ronzavano attorno al Cecconi le cose semplici sono sempre apparse banali.

Ed ecco allora l’abisso degli incubi toccato a metà del primo tempo per i guizzi di Rega e Petrucci che sembravano spianare la strada per la gloria al Monticelli e reso un oceano di ancor più cupa apprensione per le occasioni del 3-0 sfiorate dalla squadra di Nico Stallone.

Ma la storia ha un suo ciclo ed un suo credo ed a farla sono gli uomini come Totò Brasiello.

Di questo instancabile e leale dominatore delle corsie laterali il lesto tap-in di fine primo tempo, sua è stata la riscossa delle speranze.

Serviva la scintilla e Lucidi lo stoppino lo ha trovato in coloro che diligentemente si sono messi al servizio del bene supremo senza fare storie.

Merito a Dominici che nel rimescolamento generale da esterno alto di destra è finito sul versante opposto, basso tanto da mettere il tappo all’effervescente Petrucci.

E merito a quel ragazzone con il numero cinque, Daniele Rocchi, un tipo silenzioso ma decisivo per il gruppo quanto in campo.

Di lui si ricordano le reti decisive contro il Colleferro (all’andata ed al ritorno) e per sempre si ricorderà quella di oggi, che dopo il pari dal dischetto di Fazi, ha innalzato Bellegra ed Olevano sulla cima di un sogno.

La Storia del Serpentara BellegraOlevano, sotto forma di conciso Bignami, è questa, anche se di storie nella Storia potremmo raccontarvene altre.

Sono però patrimonio di quei dirigenti che questa società l’hanno edificata dal nulla, di un tecnico che oggi raccoglie quegli allori che in passato gli hanno strappato dalle tempie troppo frettolosamente e di quei giocatori che hanno respinto al mittente le sentenze affrettate e scellerate di chi non credeva in loro.

Questo tesoro di gioia e di orgoglio popolare lo stanno celebrando in queste ore sulle pendici del Monte Celeste.

E’ una Storia molto privata e noi dobbiamo rispettarla.

La vivranno là dove osano le aquile e dove, da qualche ora, si annida la Serie D.