Madre Pietra Daunia – Trastevere, un pasticciaccio di cui avremmo fatto volentieri a meno

Madre Pietra Daunia – Trastevere, un pasticciaccio di cui avremmo fatto volentieri a meno

Di Alessandro Bastianelli.

Inizia a diventare complicato parlare del girone H di Serie D.

Lo era già da principio, dal momento che trattasi di un raggruppamento che, in estensione,  misura circa 600 km, un arco che va da Roma a Nardò.

Viene ancor più difficile farlo adesso, con il Trastevere che primeggia con otto punti di vantaggio sul Bisceglie (penalizzata di tre) e dieci sulla Nocerina, prossima a dare il benservito al secondo allenatore della propria stagione, Simonelli.

Tutto ciò va al di là di ogni possibile pronostico.

Anche ieri il Trastevere ha vinto, normalmente ci ritroveremmo a parlare dei risvolti di una gara che, di fronte a una capolista apparsa un po’ stanca, ha visto soccombere la gagliarda ma sfortunata Madre Pietra Daunia, terzultima (a pari merito con il Cynthia) forza del campionato. O magari dell’imminente addio di Simonelli, o della splendida rincorsa del Bisceglie, finanche alla rinascita di Nardò e Gravina.

Ci capita invece, purtroppo, di parlare di tutt’altro:

a) La Madre Pietra Daunia, verso la mezzanotte della domenica stessa, ha pubblicato un post su Facebook (ebbene sì, no una nota stampa o un comunicato, ma un post su Facebook) con il quale annunciava il ritiro dal campionato a causa dei torti arbitrali subìti. Il giorno seguente, la stessa pagina – che ne rappresenta il canale ufficiale – ha pubblicato il video della partita con le due azioni incriminate, l’espulsione di Bozzi ed un calcio di rigore negato ai pugliesi.

b) Il post della Madre Pietra Daunia ha avuto effetto. Infatti, nel giro di poche ore, sui social e sui gruppi Facebook si è scatenata la furia popolare contro il Trastevere, accusata da mezza Puglia di essere squadra raccomandata e “spinta”, ormai destinata alla promozione in Lega Pro per via delle oscure manovre del “Palazzo”.

c) Sono subito circolate voci di un’aggressione ai due presidenti del Trastevere, Betturri e D’Alessio, persone distinte e per bene. Accanto alla parola aggressione non è stato specificato l’aggettivo “fisico” o “verbale”. Anche queste voci hanno prodotto l’effetto di mettere tutti contro tutti i vari tifosi sui social network. La contesa ha coinvolto anche alcuni addetti ai lavori, tra i quali molti, in maniera ragionevole, hanno cercato di stemperare i toni. Il Trastevere, gettando acqua sul fuoco, ha specificato quest’oggi con un comunicato che l’aggressione era verbale, ma non esagerata, e che la cosa che fa più male ai granata è la strisciante accusa di essere favoriti dal sistema.

My two cents, e tenetevi pure il resto perché ne abbiamo lette e sentite abbastanza.

In tutto ciò, una cosa appare assolutamente insensata, ridicola e priva di logica: che una società di Serie D (leggasi: semiprofessionismo) permetta a degli scriteriati di utilizzare il proprio canale di Facebook, organo ufficiale della società, per scrivere post deliranti come questo (che potete leggere cliccando qui), nel quale si proclama il ritiro della squadra.

Al di là del sorriso che può strappare un simile scritto, che ricorda i “vaffa” di Gaucci a Matarrese dopo un Bari – Perugia contraddistinto da sviste arbitrali, occorre ricordare che la deontologia professionale proibisce ai giornalisti, fra le seguenti cose, questa qui:

Articolo 12
Doveri in tema di informazione sportiva
Il giornalista:
  1. evita di favorire atteggiamenti che possano provocare incidenti, atti di violenza o violazioni di leggi e regolamenti da parte del pubblico o dei tifosi.

Se una società, tramite il proprio addetto stampa (o chi per lui), veicola sentimenti di odio verso una società avversaria, va contro questo semplice principio.

Sui social sono apparsi anche messaggi che preferiamo non riportare, ma che promettono il peggio ai giocatori e ai tifosi del Trastevere.

Fortunatamente, la maggior parte degli interpreti del girone H sono concordi nel parlare dello splendido percorso di una squadra che, partita fra l’indifferenza generale, sta riuscendo a mettersì dietro squadre blasonate, ricche e tecnicamente più valide. Con aiutini o meno, fa poca differenza.

E’ comprensibile che una testata giornalistica parli male degli avversari, specialmente in un girone così pieno di paesi, province e tradizioni. Addirittura c’è chi lo ha fatto preventivamente, ma nei giusti modi può starci: è il gioco delle parti.

Il pericolo è diverso: adesso c’è il rischio che ogni canale ufficiale delle squadre del girone H possa parlare negli stessi termini con cui ha fatto la Madre Pietra Daunia. D’altronde, da ieri vi è un precedente.

I tifosi sono liberi di pensarla come vogliono, essi amano ed hanno carattere passionale da principio.

Chi invece si occupa della comunicazione ha il dovere di misurare e cautelare le parole, specialmente in un contesto come quello calcistico. Non stiamo facendo cronaca nera, né giudiziara, né inchieste di malaffare: stiamo parlando di un campionato di calcio ed è bene ricordarcelo prima di aprire la bocca o le tastiere.

Avete dubbi sulla regolarità del campionato? Raccogliete le prove ed andate in procura, piuttosto che aizzare l’odio su internet.

D’altro canto, è apprezzabile l’iniziativa odierna del Trastevere, che ha messo una toppa sulla precedente falla comunicativa, dettata forse dalle emozioni della giornata di ieri. Fra chi parlava di carabinieri ed aggressioni nel post partita, qui da Roma abbiamo tutti pensato al peggio.

Fortunatamente nel post-gara non è successo nulla di estremo, se non qualche insulto dettato da una rabbia comprensibile, benché poco educata. Non sappiamo bene come e perché questa voce è girata, ma una smentita più tempestiva sarebbe stata auspicabile.

Nell’era dei social network e della becerità al potere, infatti, siamo tutti responsabili delle parole che scriviamo, pubblichiamo o proferiamo nei canali mediatici.

Leggere di tifosi che promettono guerra e inferno, non solo sportivo, al Trastevere, è raccapricciante. Il giornalista, l’uomo addetto alla comunicazione, non solo ha il dovere di stigmatizzare tali atteggiamenti, ma ne possiede uno più importante e propedeutico: fare in modo che non si arrivi all’odio reciproco. Qualunque sia la sua fazione, il colore del suo cuore o il datore di lavoro che lo paga.