Paolo Caputo si racconta…

Paolo Caputo si racconta…

Periodo di riflessione, momenti in cui si torna indietro con la mente cavalcando spaccati di vita nascosti dal quotidiano. Per chi vive giornalmente di calcio il tuffo prediletto è nel passato più o meno lontano, nelle battaglie su quel manto verde, nelle gioie, nei momenti che hanno contraddistinto poi carriere e percorsi sportivi.  Potenzialità, l’aspetto mentale, la forza di un gruppo e del singolo. Per arrivare fin lassù, dove a poche squadre riesce, serve sempre un percorso dei singoli partito da lontano. Ad entrare nella storia ci vuole poco, basta crederci. Quanto avvenuto a paolo Caputo e alla Primavera della Fiorentina ne è la riprova. Era l’anno 1983 quando la società si fregiava del titolo di campione d’Italia Primavera. L’ultimo, in ordine cronologico, per un gruppo giovanile ai piedi della Fiesole. Una vita è passata da quel fior di campioni che la componevano, tra i tanti Carobbi. Carboni, Bortolazzi e Landucci, che diretti da mister Vincenzo Guerini si fregiavano di un titolo unico, prestigioso, per il settore giovanile nazionale calcistico. Tutti una storia, un percorso calcistico che ha poi contraddistinto da li in avanti chi ne faceva parte. Questa però è la storia di Paolo Caputo, civitavecchiese d’oc che all’età di 14 anni, era il lontano 1980, passava dalla S. Pio X di Civitavecchia alla corte di patron  Ranieri Pontello. Carattere forte già all’epoca, peculiarità che lo accompagnerà sia nella carriera da calciatore che da allenatore,  che gli è valso la possibilità di scalare facilmente la montagna per tanti insormontabile. In  quel destino che il calcio gli aveva messo davanti, un’occasione unica che ha segnato la sua vita poi tra il rettangolo di gioco e la panchina. Paolo Caputo negli  anni alla corte di Ranieri Pontello compie la classica trafila calcistica, inizia dai Giovanissimi per poi balzare agli Primavera sotto età, con cui vince uno scudetto sotto la guida di Guerini. Fino all’ultima stagione in maglia viola diretto da Arrigo Sacchi, poi dopo un anno le strade tra Caputo e la Fiorentina si separano. Non finisce la voglia di calpestare quel rettangolo verde e tra Pro Cisterna, Venezia e Civitavecchia la carriera continua nei campi di Serie C. Da calciatore grazie ai trofei unici di Coppa, Campionato e Coppa Nazionale vinti con il Civitavecchia a dare lustro, percorre un cammino calcistico unico. Appesi gli scarpini al chiodo nel 2003 la sua avventura calcistica si sposta sulla panchina, tra promozioni varie, vittorie di coppa, rimonte inimmaginabili, con la dote innata di talent scout di giovani Caputo diventa un’icona nei campi dilettantistici laziali. 

Carriera partita da lontano, con tante difficoltà anche emozionali visti gli anni.

“Paolo quale è stato l’ ìmpatto con la Viola?”

Sono arrivato a Firenze ad Agosto del 1980, dalla S. PioX alla Fiorentina accompagnato dal mio papà e dall’indimenticato presidente di allora Mario Ricci. Ci vestirono dalla testa ai piedi e ci consegnarono il materiale. Era tutto Adidas e per fu quasi  come ricevere una montagna d’oro, non ero abituato ad indossare una marca cosi prestigiosa. Fu un’emozione quasi irraccontabile in tutta quella premura e organizzazione a cui non ero abituato, con il  ricordo di un particolare che mi fa ancora sorridere. Posai tutto ma non la scatola delle scarpe Adidas, erano le Winner, e me le misi sotto il braccio. Il magazziniere mi chiese del perché non le avevo riposte insieme all’altro materiale, con la mia risposta che a distanza di tempo mi fa ancora sorridere: io le scarpe Adidas non le ho mai viste, me le tengo strette e stanotte per non perderle di vista  le metto anche sotto il cuscino. Un miraggio per me e i tanti ragazzini che al tempo passavano dai campi di periferia a quelli dell’Olimpo calcistico.”

“Esperienza unica con la maglia Viola, sotto età hai vinto anche l’ultimo campionato Primavera di cui la società toscana si è fregiata.”

Si è stato un percorso unico con, forse, l’unico rammarico di non essere rimasto quando la squadra della Primavera fu affidata ad Arrigo Sacchi. Troppo differenti  nei modi di intendere il calcio, un errore di gioventù che non rifarei assolutamente. Sono stati però anni unici, la vittoria del campionato Primavera  ha un sapore particolare. Io ero in rosa con gli Allievi ed essere convocato da mister Guerini, parliamo di due categorie sopra rispetto a dove giocavo di solito,  fu qualcosa di cui porto un ricordo indelebile. Mi trovò pronto all’epoca, visto come è andata poi fui fortunato a scrivere una pagina storica per la società. Ricordo che Guerini mi chiamò prima del pranzo della prima partita delle fasi finali ad Ascoli, io pensai di aver combinato qualche altra cosa e stavo per essere ripreso ma invece mancava un centrocampista e, con il suo modo severo di fare, mi chiese se ero pronto a giocare da titolare. Non aspettavo altro. Avrei marcato Zahoui, primo straniero dell’Ascoli di Costantino Rozzi, e lo feci in maniera perfetta. Nel salutarci sbagliai strada e Guerini mi riprese indicandomi che avevo sbagliato strada e che, forse, non ero pronto a giocare. La mia risposta lo lasciò di stucco: l’ho fatto apposta e sono cosi concentrato che oggi Zahoui non tocca palla. Feci una gran partita e da li si gettarono le basi per la mia presenza costante nelle fasi finali, che portarono poi alla vittoria del campionato.”

“Che ricordo hai di mister Guerini”

Vincenzo Guerini è un allenatore eccezionale ma che, secondo me, non fece una strada calcistica completa. Pagò la sua assenza di compromessi, quel suo carattere forte lo mantenne purtroppo ai margini di realtà abituate a lottare per grandi obiettivi.  Come del resto ora sono io sotto il piano caratteriale. Lo ritengo uno tra i migliori mister del calcio italiano, seppur tra i campionati in serie B e i tantissimi di serie A, che lo hanno visto comunque protagonista,  non fece una strada consona alla sua bravura.

“Mister negli ultimi anni il suo credo calcistico si è spostato sui campi dilettantistici, nello specifico sulla panchina. Esperienza per chi l’ha incontrata, per chi ha avuto la fortuna di collaborare con lei,  che ha sempre lasciato il segno. Ora il calcio è fermo ai box, come e quando riprenderà.”

Negli ultimi anni la mia passione per il calcio si è spostata sui campi dilettantistici, e, dopo aver calcato quel manto verde in società professionistiche e non, ho mantenuto viva quell’emozione che solo il calcio riesce a dare. Nel passato vittorie storiche con la squadra della mia città che aveva riportato i neroazzurri in serie D, fino agli  ultimi due anni in cui, da due stagioni spettacolari, l’anno passato con la CPC2005 avevamo vinto la Coppa Italia di Promozione e quest’anno, dopo l’unione d’intenti con la dirigenza neroazzurra, eravamo  con il Civitavecchia 1920 in quarta posizione. Uno stop che non ci voleva, non sotto l’aspetto calcistico ma soprattutto sotto quello umano. E’ qualcosa di terrificante, un nemico invisibile, che i nostri giovani ricorderanno in maniera indelebile. Sarà dura, un monito che l’ambiente ci ha dato e che speriamo di cogliere. Non so quale decisione prenderanno ai piani alti, prima di tutto va salvaguardato l’aspetto sanitario, l’economia e il lavoro, poi si penserà al calcio. Mi dispiace per i ragazzi, eravamo e siamo un gruppo eccezionale e quest’annata ce la ricorderemo in maniera particolare per quanto avevamo costruito e fatto vedere su quel manto verde. Ora bisogna pensare ad altro, il calcio verrà poi.”

Che lo sport sia il viatico ad affrontare la vita di tutti i giorni è rinomato, che gli incontri da ragazzo, le esperienze positive o negative che siano, quella forza di un gruppo e aggregazione che ci insegna ad uscire indenni dalle difficoltà, lo è ancor di più. Abbiamo raccontato in parte la storia di un ragazzo, partito con tante speranze da un campo di periferia, fino ad essere oggi un uomo che ne guida una trentina su qual manto verde infondendo quanto ha vissuto dal lontano 1980. Il calcio è vita.  

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Ufficio stampa Civitavecchia Calcio 1920