TARTAGLIONE: “LA MIA DIGNITA’ VALE MOLTO PIU’ DI DIECI GIORNATE”

TARTAGLIONE: “LA MIA DIGNITA’ VALE MOLTO PIU’ DI DIECI GIORNATE”

La sua vicenda ha destato molto scalpore negli ambienti del calcio dilettante laziale.

In precedenza non era mai accaduto che su un calciatore si abbattesse la scure dell’Articolo 11, Comma 3, del Codice di Giustizia Sportiva, quello per intenderci che regolamenta i casi legati alla cosiddetta discriminazione territoriale.

Materia pruriginosa e che si presta a mille considerazioni, tutte ragionevoli e rispettabili.

Il caso che ha coinvolto il calciatore del Fregene, Stefano Tartaglione, rischia di fare giurisprudenza nel nostro calcio.

Squalificato per dieci giornate dal Giudice Sportivoper aver rivolto ad un avversario di colore con tono discriminatorio espressione offensiva comportante denigrazione per motivi di razza”, il difensore centrale tirrenico è ricorso in appello ed in questi minuti sta deponendo di fronte agli organi federali.

Poche ore prima del dibattimento e dopo qualche settimana di rigoroso silenzio stampa, Tartaglione è tornato a parlare di ciò che accadde quel giorno, scegliendo i nostri microfoni per un’intervista esclusiva.

 

Tartaglione, la prima domanda sarà schietta e mi aspetto una risposta altrettanto franca ed onesta.

Lei è razzista?

“No, nella maniera più assoluta.

Anzi, sono d’accordo che in casi di vero razzismo venga applicato l’Articolo 11″.

Che cos’è il razzismo per lei?

“Qualcosa di disgustoso, riprovevole, fatico anche a pensarci”.

Le è mai accaduto di assistere a fenomeni di razzismo sui campi di calcio?

“Personalmente no, però una cosa a proposito va sottolineata…”.

Prego.

“Io credo che nel 90% dei casi non si tratti di vero razzismo, quanto di pura ignoranza.

In quel caso parliamo d’altro…”.

Torniamo a quella maledetta domenica.

Cosa accadde veramente tra lei ed Amassoka?

“Era circa il ventesimo del primo tempo.

In un normale scontro di gioco lui mi diede un colpo sul collo nel tentativo di liberarsi dalla marcatura ed io rimasi a terra.

L’arbitro diede ai sanitari il permesso di entrare e lui si avvicinò a me, invitandomi bruscamente a rialzarmi”.

A quel punto qual è stata la sua reazione?

“Gli ho detto testualmente: “Levati, nero!”.

Non una parola di più, lo giuro”.

Può provarlo?

“Basta leggere il referto dell’arbitro che lo testimonia fedelmente”.

E dopo cosa è successo?

“Mentre uscivo per farmi medicare, Amassoka si è tolto la maglia ed ha cominciato a protestare animatamente nei confronti dell’arbitro.

Gli ha detto che lo avevo definito “negro di m…” e poi ha aggiunto che, se non fossi stato espulso, lui avrebbe abbandonato la partita.

Dopo un paio di minuti, il direttore di gara è venuto da me ed ha estratto il cartellino rosso”.

Mi sembra singolare la dinamica dell’episodio.

Lei ha avuto un confronto con l’arbitro?

“Mi sono recato nel suo spogliatoio nell’intervallo per chiedergli spiegazioni e lui mi ha confermato di aver sentito solo la frase che in realtà ho detto…”.

Come interpreta dunque l’atteggiamento del direttore di gara?

“A mio avviso, gli è mancata un po’ di personalità in quel frangente.

Forse ha avuto paura che una mia mancata espulsione avrebbe portato a conseguenze maggiori, non saprei…”.

Dopo la sentenza ha avuto modo di sentire Amassoka?

“No, ma sarei comunque disponibile ad avere un confronto con lui.

A patto però che fosse lui a spiegarsi con me.

Ormai sono passati quasi due mesi e quindi dubito che questo confronto avverrà”.

So che il Fregene e la Nuova Sorianese si sono sentite invece…

“Sì, io stesso ho ricevuto una telefonata di solidarietà da parte di Daniele Scarfini il giorno dopo la sentenza.

Il mister si è scusato, però una cosa non mi è andata giù…”.

Quale?

“Io dico che, a volte, le persone sarebbero disposte a vendersi anche un genitore per vincere una partita e quindi non battono ciglio quando traggono vantaggio da situazioni simili.

Dovrebbero pensare che in futuro casi del genere potrebbero capitare a loro”.

Ha mai giocato in passato con giocatori di colore?

“Certo.

Uno, Kanku, me lo sono ritrovato di fronte proprio quel giorno.

Abbiamo giocato insieme a Morolo l’anno scorso.

In passato, invece, ho giocato con Ebonine, che ora ha smesso e vive a Londra.

Per me lui è quasi un fratello e ci sentiamo spessissimo”.

Andiamo al nocciolo della questione.

Tartaglione, per lei è stata una sentenza politica questa?

 “Non saprei rispondere a questa domanda.

La considerazione che faccio tra me e me è che nel nostro calcio non c’è la copertura mediatica che esiste tra i professionisti.

Se John Terry insulta pesantemente un avversario di colore, lì ci sono venti telecamere a registrare l’episodio.

Qui nessuno ha ripreso la scena ed allora io mi domando: se il referto sconfessa la tesi di Amassoka, perchè si è dato comunque ragione a lui e non a me?”.

Crede che questo dispositivo derivi anche dal momento che si respira ai piani alti del calcio, dove la discriminazione territoriale è materia di stringente attualità?

“Io dico solo che situazioni del genere mi fanno pensare ad una sorta di razzismo al contrario”.

Si spieghi meglio.

“Intendo dire che alcuni calciatori di colore potrebbero essere indotti a cavalcare una situazione che in questi mesi sta montando in Italia.

Non vorrei che qualcuno di loro utilizzasse questa situazione per fini personali…”.

Come si è comportato il Fregene nei suoi confronti?

“Benissimo.

Tutta la società mi è stata molto vicina e questo mi ha davvero colpito, perchè nel nostro ambiente è un atteggiamento raro.

Mi piace anche sottolineare il fatto che il Fregene si è schierato dalla mia parte fin da quella domenica e non dopo la pubblicazione del referto, quando sarebbe stato facile.

Desidero quindi ringraziare per la vicinanza i miei compagni, che continuano quotidianamente a farmi sentire uno del gruppo, mister Vigna che mi ha detto che mi aspetterà fino al mio ritorno in campo ed il presidente Ciaccia che mi sta anche aiutando in questo periodo.

Un ringraziamento particolare lo rivolgo anche a Dario Barnabei.

Lui è la persona con cui ho in assoluto il miglior rapporto nel club e dal primo giorno mi sta facendo sentire l’appoggio pieno ed incondizionato della società”.

Tra poche ore si discuterà il suo ricorso.

Con quale atteggiamento si recherà in via Tiburtina?

“Con quello di una persona che non è razzista e che nella sua vita non ha mai fatto nulla che possa essere identificato con il razzismo.

A me preme dire che io dieci giornate come calciatore posso anche scontarle, ma ho una dignità.

Sono un uomo che crede in certi valori ed ha principi ben precisi.

I miei genitori mi hanno trasmesso un’educazione e non è bello neanche per loro che qualcuno possa additare loro figlio come un razzista.

Non ci sto”.

Ha ricevuto testimonianze di affetto da parte di altri colleghi?

“Tante e ne sono orgoglioso.

In particolare ringrazio i miei ex compagni di Valmontone Bianchi, Valentino, Cianni, Casagrande e quelli di Morolo.

E poi ancora Emiliano Leone, mister Di Rosa e tanti altri.

L’elenco sarebbe lunghissimo.

Il grazie principale va però alla mia famiglia, alla mia ragazza ed agli amici di tutti i giorni”.

Quanto le manca il calcio giocato?

“Tanto, da morire.

Il calcio per me è qualcosa di unico, indescrivibile.

E’ una passione scellerata, senza controllo, ma è anche molto di più.

E’ un brivido che modifica i miei stati d’animo: una partita vinta equivale ad una domenica perfetta, una gara persa è invece una domenica da cancellare.

Questo è il calcio per quelli come me.

Io non dormo la sera prima di una partita, vivo le tensioni dello spogliatoio, elaboro le parole del mister e tutti quegli elementi, grandi o piccoli, che compongono la vita di un calciatore.

Non poter buttar fuori tutti questi stati d’animo la domenica mi opprime”.

Il Fregene ce la fa a salvarsi?

“Sì, almeno lo spero.

Anche se arrivare alla salvezza senza di me sarà dura per i miei compagni (ride)…”.

Come si trova con i suoi compagni di squadra?

“Molto bene.

Devo ammettere che a dicembre ero tentato di andar via, poi con il ritorno di mister Vigna e l’arrivo di gente come Luciani, Ascenzi, Assogna e Chianelli la situazione è cambiata.

Con i nuovi c’è grande feeling.

Per me loro sono il lato bello del calcio.

Gente non più giovanissima, ma che ha nell’educazione, nel rispetto e nella professionalità dei valori importanti, profondi.

Sono tutti ragazzi fantastici”.

Cosa fa in questa fase Stefano Tartaglione?

“Mi alleno senza pensare ad un’eventuale riduzione della pena, ma con il sentimento di uno che dovrà comunque scontare dieci giornate di squalifica e che quindi il campo lo rivedrà solamente il 16 marzo.

Se poi oggi pomeriggio capiranno la mia posizione, magari otterrò uno sconto, ma l’importante non è questo…”.

Cosa è realmente importante per lei?

“La tutela della mia dignità.

Ho preso un avvocato a mie spese perchè voglio salvaguardare la mia persona.

Non voglio che un domani si dica: “Lo vedi quello? E’ Tartaglione, quello squalificato per razzismo”.

Questo non posso permetterlo.

La mia dignità vale molto di più di dieci giornate di squalifica”.