Raffaele Minichino a cuore aperto: “Sport in Oro ed il Torneo Beppe Viola due sogni realizzati. Il quarantennale? Sarà un momento magico…”

Raffaele Minichino a cuore aperto: “Sport in Oro ed il Torneo Beppe Viola due sogni realizzati. Il quarantennale? Sarà un momento magico…”

Il 2023 rappresenterà per la grande famiglia di “Sport in Oro” un appuntamento davvero speciale, perché il suo avvento coinciderà con una serie di ricorrenze alle quali teniamo in modo particolare.

Il direttore Raffaele Minichino attende con malcelata trepidazione l’arrivo del nuovo anno, perché le sue due creature, la storica trasmissione da sempre abbinata al marchio di Rete Oro ed il “Torneo Beppe Viola”, festeggeranno i loro primi quarant’anni.

L’occasione, prima ancora che rara, è dunque grata per strappargli qualche minuto e lasciare che la nave dei ricordi possa procedere senza vela in un mare di ricordi che si accavallano tra il secolo passato e quello attuale e dunque tra due epoche ben distinte del nostro calcio.

Nelle sue parole si ritrovano i volti di tanti protagonisti e quasi riesci a sfiorare con le dita i contorni di un tempo che, ahinoi, appartiene solo ai cuori di coloro che lo hanno vissuto ed apprezzato.

Quel che è certo è che dai tempi in cui, volitivo terzino di spinta, sognava di correre come Giacinto Facchetti a quelli in cui dal nulla è stato in grado di costruire qualcosa che qui da noi non era mai venuto in mente a nessuno, questo signore del nostro calcio di strada ne ha percorsa parecchia.

Ora però possiamo chiedergli di fermarsi un momento, tracciare un solco per terra e guardarsi per un attimo soltanto alle spalle per poi aguzzare lo sguardo e volgerlo al futuro che nessuno di noi ha il potere di conoscere, ma che pure possiamo provare a veicolare.

Magari attraverso il suo esempio e la forza di volontà che ogni giorno sa testimoniarci.

 

 

Direttore, facciamo un passo indietro.

Dove nasce il tuo amore per il calcio?

“Nasce quando ero piccolo e mi innamorai della Grande Inter degli anni sessanta, anche se i primi ricordi sono legati allo stadio Alfredo Viviani di Potenza e ad una squadra che, tra gli altri, annoverava anche il formidabile Roberto Boninsegna.

Confesso che a calcio provai anche a giocarci, facevo il terzino sinistro di spinta.

Alla Facchetti, per intenderci, ma a livelli decisamente diversi (ride)…

In seguito, sono stato anche arbitro e successivamente ho ricoperto il ruolo di Vicepresidente Provinciale dell’Associazione Italiana Cultura e Sport”.

L’Inter è stata e rimane uno dei grandi amori della tua vita.

“Quelli nerazzurri per me sono i colori più belli del mondo.

Mi fregio anche di essere stato tra i fondatori dell’Inter Club 11 Stelle a Roma”.

 

Salto ogni preambolo e ti chiedo: com’è nata l’idea di realizzare un torneo giovanile, intitolandolo ad un Maestro del giornalismo italiano come Beppe Viola?

“Chi ha la mia età ed ama il calcio ha avuto per anni nella “Domenica Sportiva” un appuntamento irrinunciabile.

Tra i tanti grandi presentatori che si sono succeduti alla sua conduzione, Beppe Viola è stato quello che personalmente ho amato di più.

Ero affascinato dal suo modo di coniugare le sue straordinarie capacità dialettiche alla sua abilità, da artista qual era, di strizzare l’occhio al mondo dello spettacolo. 

A distanza di quasi due anni dalla sua prematura e dolorosa scomparsa, decisi di creare un torneo giovanile in sua memoria.

Ricordo che mi recai a Milano per chiedere l’autorizzazione a sua moglie, la signora Franca, che me la concesse con grande gentilezza”.

Tra pochi mesi andrà in scena la quarantesima edizione di una kermesse che da sempre catalizza l’attenzione dei giovani calciatori, del pubblico e degli addetti ai lavori.

Se ti volti indietro, quanto è cresciuto rispetto ai primi anni?

“Penso a questo appuntamento ormai da qualche anno.

Stimavo a tal punto la figura di Beppe Viola che in cuor mio desideravo che tutto fosse organizzato con assoluta cura e scrupolo.

Questa è stata la molla che mi ha spinto a migliorarlo sempre di più grazie all’impegno ed alla dedizione dei tanti collaboratori che sono stati al mio fianco e che non mi hanno mai fatto sentire solo.

Ho splendidi ricordi di ciascuno di loro.

Mi viene in mente Antonio Clemente, che li definiva gli “Uomini in Blu”, perché sui campi erano sempre elegantissimi nella loro divisa ufficiale”.

All’evento calcistico è strettamente connesso il Premio Beppe Viola, consegnato a tantissime personalità dello sport e del giornalismo.

Se dovessi scegliere tra i numerosi premiati, ce n’è stato uno la cui presenza sul palco ti ha particolarmente emozionato?

“Ricordo con particolare affetto la prima edizione che si tenne al Piper e nella quale vennero premiati, tra gli altri, Carlo Ancelotti per la Roma e Nando Orsi per la Lazio.

Nella mia visione delle cose il Premio doveva associare l’idea dello Sport a quelle della Cultura e dello Spettacolo, proprio come piaceva fare a Beppe Viola, ed ecco perché abbiamo sempre cercato location particolari per organizzarlo.

Non posso non menzionare l’anno in cui fummo ospiti presso il Castello degli Estensi a Ferrara con la conduzione dell’allora giovanissima Milly Carlucci e con tanto di collegamento in diretta con “Il Processo del Lunedì” di Aldo Biscardi.

Ricordo con affetto anche la volta in cui lo consegnai a Michel Platini negli studi della Rai a Torino durante la trasmissione “Numero 10” condotta da Gianfranco De Laurentiis.

Probabilmente però il personaggio che mi ha emozionato di più conoscere è stato Giacinto Facchetti, mio idolo calcistico da ragazzo ma soprattutto uomo dalle straordinarie doti umane”.

Come si guida una macchina organizzativa complessa come quella del torneo Beppe Viola?

“Confesso che a me è sempre piaciuto organizzare eventi e, quando ho potuto farlo, il primo a divertirsi sono sempre stato io.

Accadeva da ragazzo, quando frequentavo le scuole superiori, ed è accaduto con il Torneo Beppe Viola.

In questo caso la macchina cominciava a muoversi fin dai primi giorni di gennaio.

Come ho già avuto modo di rimarcare, a me piaceva che tutto funzionasse al meglio e quindi lavoravo in maniera quasi maniacale con l’enorme contributo dei tanti collaboratori e delle aziende che negli anni ci hanno sostenuto”.

Da qualche anno a questa parte tuo figlio Filippo ha assunto buona parte delle responsabilità nel pianificarlo insieme alla redazione.

L’allievo sta superando il maestro?

“Sotto molti aspetti lo ha già superato.

D’altronde, Filippo è cresciuto a pane e Beppe Viola, come amo ripetere sempre.

Nei suoi confronti la fiducia è totale ed incondizionata.

Forse può ancora migliorare sotto l’aspetto della cura delle public relations, quello è l’ultimo tassello che gli manca per fare meglio di suo padre.

La qualità che più apprezzo in lui è il suo saper coinvolgere al 100% la redazione.

È peraltro importante anche il contributo dell’altro mio figlio, Francesco, sebbene lui preferisca avere un ruolo più defilato”.

Non posso non chiederti dell’altro gioiello che hai creato, dal momento che anche “Sport in Oro” si accinge a tagliare il traguardo del quarantennale di dirette televisive.

Dove nasce l’intuizione di portare in televisione il calcio giovanile e dilettantistico?

“La trasmissione è nata con l’intento di dare ulteriore slancio e visibilità al torneo.

Quando ero arbitro, mi capitò di conoscere l’allora direttore sportivo della Pro Calcio Italia, il grande Giovanni “Gipo” Guarracino, e mi venne l’idea di proporgli un appuntamento in cui si potesse parlare anche di calcio giovanile, di cui io sarei stato il conduttore e lui l’opinionista.

Lui accettò con entusiasmo e così partimmo.

In quegli anni esisteva soltanto il Corriere Laziale di Eraclito Corbi che usciva il martedì, mentre un programma televisivo come il nostro non c’era.

La domenica attraversavamo Roma per riprendere le due partite più interessanti della giornata, poi correvamo negli studi che allora si trovavano al Don Orione e preparavamo una puntata che veniva registrata e poi trasmessa la sera.

Il nome è rimasto lo stesso da allora: “Sport in Oro – La Domenica Sportiva dei Dilettanti”.

Erano tempi pionieristici: accanto a me c’erano Guarracino, che all’epoca era un po’ l’Italo Allodi del calcio giovanile laziale, e nel ruolo di valletta Emanuela Borsato, figlia del grande Felice, volto storico della Rai”.

Peraltro, l’impianto in via della Camilluccia fu galeotto anche per altri motivi…

“Sì, perché proprio lì, in occasione di un torneo amatoriale non connesso alla trasmissione, conobbi la mia Lucy, ossia colei che in seguito sarebbe diventata mia moglie (sorride)…”.

Fin dai suoi primi vagiti la trasmissione ha legato il proprio nome a quello di una regina tra le emittenti private come Rete Oro.

Ricordi il tuo primo incontro con il grande Umberto Tersigni?

“Impossibile dimenticarlo.

La stessa Rete Oro aveva da poco aperto i battenti e, quando lo incontrai per la prima volta per proporgli il format che avevo in mente, lui mi guardò con sospetto e mi chiese: “Ma cos’è, il calcio dei poveri?”.

Tra noi è sempre esistito un profondo rispetto, in lui vedevo una sorta di fratello maggiore.

Per me è stato un piacere condividere con lui anche l’esperienza calcistica a Civitavecchia, dove lui era Presidente ed io Direttore Generale.

Umberto Tersigni era un signore come se ne incontrano di rado, per lui la parola data era sacra.

Gli sarò sempre riconoscente per aver creduto in me, dandomi carta bianca.

Nel nostro settore è stato un pioniere ed un innovatore ed avvertire la fiducia di un imprenditore del suo calibro è stato importante.

La verità è che da Rete Oro non ho mai voluto spostarmi, perché qui mi sono sempre sentito come a casa”.

Fin da subito la trasmissione è divenuta appuntamento irrinunciabile per un esercito di appassionati ed addetti ai lavori del nostro settore.

La domenica pomeriggio eravamo tutti in attesa di conoscere i risultati e sentire i commenti.

A bruciapelo, esiste ancora quel calcio semplice e genuino che ci ha fatto innamorare?

“Secondo me no, ma i tempi cambiano per tutti e certe persone non si trovano più.

Penso a dirigenti sportivi del calibro di Vilella, Tarascio, Raucci ed Ivano Fronti.

Oggi mi guardo intorno e vedo troppi Moggi e nessun Allodi…

Una volta poi sugli spalti il clima era idilliaco, oggi fai quasi fatica a salire in tribuna per le parole che senti pronunciare, specialmente dai genitori…

Con orgoglio mi sento di dire che per almeno vent’anni Sport in Oro ha rappresentato una ventata di aria fresca ed un modo diverso di parlare del nostro calcio in televisione.

Una volta, una persona mi disse che a casa sua puntualmente ero l’ospite a cena della domenica e questo mi fece molto piacere.

Erano i tempi in cui, su impulso dell’allora Presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Carlo Tavecchio, decidemmo di appoggiarci anche ad un canale presente sul bouquet Sky per andare in diffusione nazionale e l’allora Presidente del Settore Giovanile e Scolastico, Michele Pirro, dichiarava in più di un’intervista che non esisteva nulla di simile nelle altre regioni d’Italia.

Altri tempi”.

All’interno del tuo studio si sono susseguiti migliaia di ospiti ed opinionisti.

Senza far torto a nessuno, puoi farmi i nomi di qualcuno di loro con cui hai avuto un feeling particolare?

“A livello federale citerei lo stesso Tavecchio e l’indimenticato Antonio Sbardella.

Come presidenti invece menzionerei Roberto Di Paolo e Luigi Lardone.

Personalmente avrei scommesso che insieme potessero costruire qualcosa di molto importante, ma purtroppo le cose tra di loro non hanno funzionato.

Ultimo ma non ultimo, menziono Vichi, che era stimato ed apprezzato da tutti per il suo equilibrio e la sua onestà intellettuale.

Per una decina d’anni Roberto ha rappresentato davvero la “coscienza” di Sport in Oro”.

Al tuo fianco si sono intervallate figure straordinarie e di alto spessore morale.

Nello specifico vorrei che ti soffermassi su tre di loro: Monika Kowalik, Benito Manzi ed Alfredo Cocco.

“Monika è entrata a far parte della nostra squadra quando era divenuta appena maggiorenne e per dodici anni mi ha affiancato in conduzione.

Per me ha rappresentato una presenza importante sotto il profilo umano, perché è stata in grado di spronarmi a non mollare nei momenti di sconforto che pure ci sono stati.

Per quanto riguarda Benito, dico solo che in oltre trent’anni di amicizia non ricordo neppure una persona che abbia detto qualcosa di male sul suo conto e già questo basta a qualificarlo come essere umano.

Nel mio piccolo sono fiero di aver contribuito a renderlo un personaggio da emulare per le sue grandissime doti tecniche ed umane.

Infine, Alfredo è stato il Poeta e l’Ambasciatore per eccellenza del Torneo Beppe Viola, riuscendo a tradurre in tanti memorabili articoli e servizi la magia di questo torneo.

La redazione, di fatto, è stata in tutti questi anni la mia seconda famiglia e mi piace ricordare anche tutti coloro che in questi ultimi anni ne hanno fatto parte con grande impegno e costanza.

Tra loro menziono con piacere Simone Capone ed Andrea Dirix”. 

 

È davvero inevitabile associare il nome di mister Benito alla splendida avventura della “Top 11 Beppe Viola”.

Qual è stata l’emozione più forte che hai provato in quegli anni in giro per l’Italia?

“Eravamo giunti alla terza edizione del torneo e mi venne l’idea di creare una selezione dei migliori calciatori espressi dal torneo.

Con fierezza aggiungo che alcuni di quei ragazzi seppero mettersi in morta e vissero successive esperienze nel professionismo.

La Top 11 durò quindici anni e rappresentava un po’ il coronamento del torneo.

Ci portò a vivere momenti indimenticabili in giro per l’Italia.

Tra i tanti rammento ancora con piacere una finale vinta a Sportilia, era presente anche Pier Luigi Gabetto, ex calciatore professionista e figlio di Guglielmo, indimenticato campione di Juventus e Torino”.

Il calcio è cambiato molto nel corso del tempo e con esso anche il modo di raccontarlo.

Secondo te, qual è il requisito essenziale per chi vuole cimentarsi con una professione affascinante, ma complicatissima come quella del giornalista sportivo?

“La nostra è una sorta di missione.

Servono una grande passione, ma anche la fortuna di imbattersi nelle persone giuste che sappiano condividerla con te e che abbiano al loro fianco figure come mia moglie, ossia individui in grado di accettare che possano essere sacrificati alcuni momenti come la domenica che per quelli come noi è sacra.

Per andare avanti occorre poi una grande costanza.

Quanti ne abbiamo visti partire con entusiasmo e poi lasciare dopo poco tempo?”.

Insisto nel pungolarti.

Cosa risponderesti a quelli che ti dicono: “Voi lavorate solo la domenica?”

“Risponderei che una trasmissione non nasce dal nulla, ma la si costruisce con pazienza ed un lavoro che spesso neppure si nota durante la settimana che la precede.

Nel nostro caso, ad esempio, il salto di qualità è avvenuto quando abbiamo deciso di strutturare una redazione di circa dieci elementi”.

Ognuno di noi porta sulle spalle il proprio carico di rimpianti.

Qual è il tuo?

“Non è un rimpianto, ma una presa di coscienza.

È naturale che l’avvento delle nuove tecnologie abbia cambiato fortemente gli scenari.

Prima la gente aspettava noi per conoscere i risultati, ora con i siti internet ed i social si sa tutto in tempo reale.

Questo ha reso la nostra trasmissione meno impattante di prima”.

Di riconoscimenti ed elogi ne hai ricevuti tantissimi.

Qual è stato quello di cui ti sei sentito maggiormente orgoglioso?

“Non posso negare che ricevere dalle mani dell’allora Presidente della Lega Nazionale Dilettanti Carlo Tavecchio un premio come le “Ali della Vittoria” per il mio impegno nella diffusione del nostro calcio mi ha reso davvero felice”.

C’è stata invece una critica che ti ha ferito?

“Nel corso del tempo più di qualcuno ha puntato l’indice contro il nostro lavoro, accusandoci di parlare sempre delle stesse società, senza comprendere che noi non siamo un network, ma una piccola realtà di natura commerciale.

Mi rammarica il fatto che molti non abbiano colto che, grazie al contributo di coloro che ci hanno sostenuto e che hanno avuto una visibilità maggiore attraverso gli accordi stipulati, indirettamente noi siamo riusciti a garantire spazio a tutti…”.

Il 2022 sta per salutarci.

Cosa ci lascia in dote?

“Quando ho cominciato, avevo circa ventisette anni.

Ora che sono entrato nell’età della saggezza non so per quanto tempo ancora riuscirò a sostenere un impegno quotidiano, sottraendo ulteriore tempo agli affetti più profondi.

Credo si stia avvicinando il momento di lasciare spazio ai giovani, vestendo magari i panni del consigliere.

Sono comunque dell’avviso che Sport in Oro possa proseguire la sua parabola in futuro, magari traendo linfa da piccole modifiche che stiamo valutando”.

Direttore, cosa ti aspetti dal prossimo anno, e più in generale dal futuro, per quanto riguarda il Torneo Beppe Viola, Sport in Oro e, soprattutto, la tua persona?

“A livello personale, il regalo più bello sarebbe godere di buona salute e di serenità.

Spero che il quarantennale del Torneo Beppe Viola rappresenti per noi tutti un momento ancora più magico di quelli che abbiamo vissuto in passato e vi garantisco che già dall’inizio di gennaio cominceremo a lavorare con grande intensità per organizzare un’edizione che risulti indimenticabile”.