ALBERGATI: “IN ITALIA TROPPA COMPETIZIONE, DOVREMMO IMPARARE DALL’ESTERO”

ALBERGATI: “IN ITALIA TROPPA COMPETIZIONE, DOVREMMO IMPARARE DALL’ESTERO”

A margine della presentazione dell’affiliazione tra Borussia Montecelio e l’AS Roma abbiamo intercettato il capo degli osservatori del club giallorosso, Marco Albergati, per scambiare due chiacchere sulla situazione del nostro movimento calcistico. Sono stati toccati alcuni temi molto in auge tra gli addetti ai lavori, come il deprezzamento tecnico dei nostri campionati giovanili e la mancanza di giocatori da consegnare al professionismo. Qui di seguito vi riportiamo l’intervista, sperando che possa fornire uno spunto per la discussione ma anche per la programmazione delle stagioni da parte delle società.

Signor Albergati, durante la conferenza stampa abbiamo parlato del livello dei nostri campionati del livello giovanile, un aspetto connesso anche al calcio professionistico. C’è forse troppa competizione e poca voglia di crescere da parte del nostro movimento?

E’ un problema complesso e dalle mille sfaccettature.  La depressione tecnica dei nostri campionati mi sembra un dato evidente, e forse dovremmo cominciare a guardare all’estero per affrontare il problema. Il Barcellona è un mondo a sé e forse impossibile da imitare, ma la Spagna è comunque una realtà radicalmente differente dalla nostra da cui prender spunto: lì si comincia a giocare a livello agonistico dai 14-15 anni, prima si pensa soltanto alla crescita tecnica e non vengono giocati campionati, ma soltanto tornei ed esibizioni a tema, nei quali il risultato è forse l’aspetto meno importante. Questo percorso è sicuramente molto importante per i ragazzi che poi si affacceranno nelle prime squadre.

In Italia un concetto come quello di esibizione a tema è irraggiungibile? Cosa può fare la Federazione?

Non credo sia un obbiettivo impossibile, si può fare tutto ma dobbiamo cambiare dal punto di vista dell’atteggiamento. Innanzitutto è necessario distinguere tra società professionistiche e dilettanti, dove i problemi sono diversi. Per quanto riguarda la mia realtà, il calcio professionistico, possiamo e dobbiamo prendere esempio dall’estero. Il Benfica, il Barcellona, il Valencia e tante altre squadre dal respiro europeo organizzano esibizioni a tema sulla fase difensiva ed offensiva, sul possesso palla e sui calci piazzati unicamente contro squadre più deboli; giocano solo amichevoli e non campionati fino ai 15 anni, e poi mettono a frutto questo lavoro mandando le squadre giovanili a giocare tornei internazionali. Mi piacerebbe che anche qui in Italia si prendesse spunto da queste idee innovative, sia da parte dei club che da parte della Federazione.

A livello dilettante invece come si può intervenire?

Io vengo dal professionismo, quindi forse non sono la persona più adatta a giudicare, però un’osservazione vorrei permettermela: se mettiamo dei ragazzi di 13-14 anni a confronto con promozioni e retrocessioni, come succede nella Coppa Lazio e nei campionati di Elite, li poniamo a confronto con dei meccanismi difficili da accettare: sono sicuro che vivere una lotta salvezza, per un quattordicenne, non deve essere il massimo della felicità e questo li sconvolge nell’approccio alle gare ed allo stesso sport.

In questo poi pesa molto il fattore fisico: durante l’adolescenza un ragazzo dai mezzi fisici più importanti è estremamente avvantaggiato rispetto a chi è meno formato, e gli allenatori e le società privilegiano questo aspetto proprio per doversi salvare o raggiungere risultati di classifica nel minor tempo possibile.

Cambiare si può, e mi auguro che possa svilupparsi una riflessione attorno a questi temi.