De Deo, numero uno tra sogno e follia: “Alla mia età, o smetti o insisti. Ma io vado avanti fino alla fine…”

De Deo, numero uno tra sogno e follia: “Alla mia età, o smetti o insisti. Ma io vado avanti fino alla fine…”

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C’era una volta un bimbo che amava giocare al calcio nel cortile sotto casa.

E fin qui, nulla di strano, perchè questa storia somiglia a mille altre.

Questo bambino era però il più piccolo della compagnia e per questo i suoi compagni spesso lo mettevano in porta, come da sempre è consuetudine tra ragazzini.

Per lui però non è stato un problema, anzi.

Con la complicità di suo padre che lo ha incoraggiato ad insistere in quel ruolo e con la beata incoscienza che lo faceva ruzzolare tra pietruzze e lingue d’asfalto, il piccolo Mattia si è fatto grande.

Così grande da vestire la maglia del club della sua città natale, Pescara, fino alle soglie della prima squadra, per poi cominciare un viaggio che da Taranto a Bellaria, passando per Grecia e Portogallo, ha soffiato nelle vele della sua vita il vento dei suoi sogni da bambino.

Da un mese De Deo (nella foto Spazio & Immagine) è approdato a Gaeta.

A volerlo fortemente in biancorosso è stato Melchionna, che di nome fa Felice come suo papà e forse anche questo lo ha subito convinto ad accettare una categoria per lui completamente nuova.

Due settimane fa contro il Morolo ha parato anche le mosche, come si suol dire in gergo, e ciò ha spinto numerosissimi tifosi biancorossi e non solo ad assegnargli la palma di migliore della giornata sul nostro sito.

 

Cominciamo dagli inizi.

Te li ricordi?

“E chi se li dimentica?

Giocavo sotto casa.

Ero il più piccolo del gruppo e quindi mi mettevano sempre in porta.

Poco male, perchè anche a mio padre, che non mi perdeva mai di vista, piaceva che giocassi in quel ruolo.

E allora io, che fin da piccolo sono stato un po’ scavezzacollo, mi buttavo dappertutto, incurante che ci fossero pietre o altro.

Per me era un divertimento”.

Quando hai cominciato a buttarti su un campo vero?

“Non è passato molto tempo.

Papà mi ha portato a giocare in un paese vicino, a Francavilla al Mare, dove sono rimasto a giocare per cinque anni.

Successivamente sono stato preso dal Pescara, con cui ho svolto tutta la trafila del settore giovanile fino alla Primavera”.

Dopo cos’è accaduto?

“Dopo ho cominciato a calcare i campi della Serie D: un anno nell’Atessa Val di Sangro, un altro a Taranto, dove però subii un brutto infortunio al perone.

Da lì sono passato a Riccione e l’anno dopo mi ha preso il Bellaria, dove ho disputato 12 partite in C2.

Una bellissima esperienza, poi però sono cominciati i problemi…”.

Di che genere?

“Il problema è che, soprattutto in Serie D, le società vanno a caccia di under e nella maggior parte dei casi li sistemano in porta.

Per questo motivo sono stato fermo un anno e dopo ho avuto due esperienze all’estero, prima in Grecia e poi in Portogallo.

Alla fine sono tornato in Italia e per un breve periodo sono stato a Chieti.

Considerando però che ho giocato cinque partite tra coppa e campionato, si può dire che dopo Bellaria ho vissuto due anni di inattività…”.

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Una batosta per un calciatore.

“Rischi di perdere il ritmo partita ed anche l’occhio, nel caso del portiere.

Per fortuna, è arrivata la chiamata del Gaeta”.

Una piazza stupenda e che dispone di tifosi innamorati della maglia, però attualmente gioca in Eccellenza.

Una categoria del tutto nuova per te.

“Come dicevo prima, la regola degli under ora come ora rappresenta un problema per i calciatori, specie per chi gioca nel mio ruolo.

Alla mia età, o smetti o provi ad andare fino alla fine.

Tanta gente che conosco è stata costretta a lasciar perdere.

Io voglio provarci finchè mi sarà possibile.

Di Gaeta mi avevano già parlato bene e mi sto trovando a mio agio.

Ovviamente la speranza è quella di tornare nelle categorie superiori nei prossimi anni”.

Perchè?

“Lo devo ai miei genitori.

Se ripenso ai sacrifici che hanno fatto per me mio padre e mia madre, mi viene da piangere.

Loro non mi hanno mai lasciato da solo, neppure quando giocavo lontano.

Sento di dover ricambiare il loro amore in qualche modo”.

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Mister Melchionna si chiama Felice come tuo papà.

Magari è un segno…

“Questo non lo so (sorride)…

Posso solo dire che, quando il mister mi ha chiamato per chiedermi se fossi disposto a venire a giocare qui a Gaeta, non ci ho pensato due volte e sono partito immediatamente.

E’ una persona decisa e che lavora molto sul campo.

In più sa infondere una grande carica prima delle partite”.

Per te un portiere non può definirsi tale se non ha…?

“La testa.

Se vuoi stare tra i pali, devi essere sempre lucido mentalmente.

Sono dell’avviso che le qualità tecniche le puoi affinare, migliorare anche in seguito, ma se non hai il giusto equilibrio, questo ruolo non puoi proprio ricoprirlo.

Il portiere è quello a cui non sono concessi errori.

Si sa, quando gli altri sbagliano, si può anche rimediare.

Se lo fa il numero uno, invece, è finita”.

Sarà capitato anche a te di fare una papera.

Non è mai avvenuto che ci rimuginassi su durante la partita?

“Certo che mi è successo, specialmente quando ero piccolo.

Con gli anni ed attraverso l’aiuto ed i consigli dei compagni di squadra ho imparato che si deve voltar pagina immediatamente”.

Contro il Morolo sei stato autore di almeno quattro interventi strepitosi.

“Se devo essere sincero, io per primo sono rimasto sorpreso.

Quella era solo la mia terza partita dopo un lungo periodo di stop forzato e non pensavo di poter andare così bene.

Anche i compagni sono rimasti contenti di me e questo mi ha fatto molto piacere”.

Se ti chiedo quale sia stata la parata più bella della tua carriera, te ne viene in mente una in particolare?

“Non saprei rispondere.

Forse una a Bellaria su un calcio di punizione.

Ogni tanto rivedo vecchi filmati, mi servono per caricarmi”.

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Il pezzo forte del tuo repertorio?

“Credo di cavarmela bene nelle uscite alte”.

Situazione da manuale: la tua squadra vince per 1-0 ed all’ultimo minuto agli avversari viene concesso un calcio di punizione di quelli dove in area salgono tutti, anche il portiere avversario.

Tu come ti comporti?

“Io mi carico, parlo da solo e con i miei compagni.

Mi ripeto ossessivamente che non mi faranno gol, a costo anche di farmi male”.

Hai un modello di riferimento?

“Non può che essere Buffon.

Da interista non posso non ammettere la grandezza che continua a dimostrare nonostante l’età”.

Chiudi gli occhi e fissa un obiettivo.

“Voglio provare a dare sempre il meglio di me, perchè nella vita non sai mai cosa potrebbe accadere.

Se non riuscirò a fare strada nel calcio, mi metterò a lavorare con mio padre.

L’ho già fatto in passato e non ci sarà nessun problema, se sarà quello il mio destino.

Fino a quando ne avrò la possibilità, però, cercherò di tenere vivo questo sogno proprio perchè sento di doverlo a lui ed a mia madre, Rita”.