GIACCHE’: “SIAMO UNA SQUADRA STRANA, E’ QUESTA LA NOSTRA FORZA”

GIACCHE’: “SIAMO UNA SQUADRA STRANA, E’ QUESTA LA NOSTRA FORZA”

Non tutte le ciambelle vengono col buco.

Chissà quante volte sarà venuto in mente l’antico adagio ad Emanuele Giacchè, uno che il professionismo l’ha sfiorato, sognato e poi definitivamente accantonato, affermandosi ormai da tre lustri come uno dei centrocampisti più apprezzati nel nostro panorama regionale.

Lazialissimo, lui ha vestito i colori biancocelesti fino agli Allievi Nazionali in una squadra in cui militavano, tra gli altri, il capitano dell’Udinese, Giampiero Pinzi, ed alcuni volti noti del panorama del nostro calcio come Luciani e Travaglione.

Storie di ieri.

Ora c’è da pensare all’oggi e l’attualità porta il nome del Cre.Cas. Città di Palombara, ossia del club in cui milita da due stagioni e che è in piena lotta per guadagnarsi un posto nell’elite del calcio regionale attraverso i play-off o grazie alla Coppa Italia dove la squadra di Gentili è approdata in semifinale dopo un durissimo quarto di finale con la Vigor Acquapendente.

 

Giacchè, state attraversando un grande momento.

Avete raggiunto la quadratura del cerchio?

“Sembra di sì.

Siamo una squadra strana e forse è proprio questa la nostra forza”.

Cosa intende per “strana”?

“Quando disponi di gente come me, Pangrazi, Matozzo ed altri non può essere mai una squadra normale.

Faccio un esempio: domenica scorsa io e Pangrazi quasi veniamo alle mani alla fine del primo tempo a Cerreto Laziale, nonostante vincessimo 3-0.

Tutto perchè io mi sentivo abbastanza stanco ed avevo suggerito al mister di inserire un centrocampista in più al posto di una punta.

Lui l’ha presa come un fatto personale ed ha “rosicato”.

A fine gara eravamo amici come e più di prima”.

Siete secondi appaiati alla Vjs Velletri ed in semifinale di coppa.

Su quale delle due manifestazioni dovete puntare di più?

“Sulla coppa, non ho dubbi.

Non m’interessa arrivare secondo o terzo in campionato”.

Chi le piacerebbe incontrare tra Guidonia, La Sabina e Valle del Tevere?

“Contro il Guidonia abbiamo giocato e secondo me siamo superiori, però potendo scegliere opterei per una rappresentante del Girone B”.

Non c’è più speranza di rimonta in campionato?

“No, credo che il Serpentara sia ormai andato.

Peccato perchè non credo che loro siano più forti di noi.

Se dovessero vincere, sarei contento per Walter Falanesca, che ho conosciuto ai tempi di Cave e che reputo una persona davvero perbene”.

Lei è un centrocampista puro, ma ultimamente le è capitato anche di essere impiegato sulla linea difensiva.

Potrebbe essere quello il suo futuro?

“No, nella maniera più assoluta.

Il mister mi ha schierato centrale per via delle squalifiche di Calabresi e Corsi, ma non sono abbastanza cattivo per quel ruolo e mi mancano anche i tempi di stacco.

Tutto sommato, però, devo dire che me la sono cavata dignitosamente”.

Lei ha fatto tutta la trafila nel settore giovanile della Lazio, però non è riuscito a fare il grande salto come in molti ipotizzavano.

Perchè?

“Se sei figlio di operai come me, diventa tutto più difficile.

Erano i tempi di Cragnotti, uscito dalla Lazio dovevo andare a Padova.

Ebbi anche l’opportunità di giocare a Viterbo, ma poi non se ne fece nulla.

Ricordo come fosse ieri una telefonata con Torrisi ed Antonelli.

Le cose sono andate diversamente, ma non ho rimpianti.

Chi li ha ancora è certamente mio padre, ma per me è acqua passata”.

Il suo amico Pinzi ce l’ha fatta, pur non essendo notoriamente un fenomeno.

Come lo spiega?

“Giampiero era già formato, mentre io ero in crescita.

Una sua gamba per spessore era come le mie messe insieme.

Forse avrei avuto bisogno di fare un campionato Berretti per completare la mia crescita, ma a quel tempo non c’era.

La cosa che mi ha ferito di più all’epoca è stata che, appena sono andato via dalla Lazio, sono diventato quello strano per alcuni…”.

Lei ha avuto comunque modo di togliersi delle belle soddisfazioni tra i dilettanti.

“Mi sono tolto belle soddisfazioni a Pomezia con quella grande persona di Franco Mancini, a Cave, alla Roma VIII ed a Segni.

Non posso lamentarmi”.

Il suo ricordo più bello in assoluto?

“La vittoria della Coppa Italia di Promozione a Zagarolo davanti a duemila tifosi venuti a sostenerci.

Quell’anno la Cavese centrò l’accoppiata.

A quella gente sono rimasto legato, tanto è vero che recentemente ho aperto un bar in paese e l’ho chiamato Thomas, come il mio bimbo che ora ha due anni.

L’unico neo è che qui ho conosciuto pure Tatiana, mia moglie (ride)…”.

Lei ha avuto modo di lavorare con tanti ottimi allenatori.

A chi è rimasto particolarmente affezionato?

“Dico Marco Conti e Franco Pagliarini, due persone eccezionali, che magari s’inventano poco dal punto di vista tattico ma che sanno trasmettere alle loro squadre tutto il loro carattere.

Il Segni di Conti erano uno spettacolo per gli occhi e la Roma VIII era di una solidità impressionante.

Non capisco perchè siano ancora fermi ai box”.

Ha lavorato anche con Ferazzoli che ora “rischia” di portare il San Cesareo in C.

“Lui forse è il più bravo allenatore che abbia mai avuto, però confesso che un po’ lo soffrivo.

Lui non mi vedeva moltissimo, forse anche perchè con lui non riuscii ad esprimermi al meglio delle mie possibilità”.

Ce la può fare a vincere il campionato?

“Sì, anche se io non posso non fare il tifo per i miei amici Marco e Neno (Neri e Tajarol, ndr)”.

Domenica ospiterete la Vis Subiaco.

Che partita si aspetta?

“Credo che loro verranno a Palombara per difendersi, ma noi dobbiamo assolutamente vincere.

Sarà questo il tema del match”.

Ci sveli un suo sogno.

“Spero di diventare allenatore un giorno.

Vorrei farlo in modo discreto, come ho fatto il giocatore”.