Trentacinque anni li ha festeggiati una manciata di giorni fa e di questi gli ultimi trenta li ha trascorsi ad annusare l’aria dello spogliatoio e quella dei campi che ha calcato.
E ne ha visti tanti, Fabrizio Antonini, di tutte le superfici ed in tante categorie.
Alla fine dell’ultima stagione, vissuta nella fase finale in Promozione a Forano, il “Papero” ha deciso di dire stop.
Mercoledì prossimo radunerà gli amici di sempre, quelli che insieme a lui sono corsi dietro ad un pallone negli ultimi tre decenni.
L’appuntamento è fissato: l’ultima esibizione di uno dei più talentuosi centrocampisti visti all’opera nel nostro calcio regionale avrà luogo mercoledì 17 giugno alle ore 20:45 presso il campo “Sacerdoti“.
Ad omaggiarlo saranno in tanti e questo comporterà un problema, perchè quella che doveva essere una partita a ranghi misti si trasformerà probabilmente in un mini-torneo, visto l’esorbitante numero di adesioni che ha raccolto questa iniziativa.
Per salutare degnamente Fabrizio ci saranno grandi firme del nostro calcio come Marco Neri, Tommaso Gamboni, Emanuele Mancini, Gianluca Toscano, Andrea Luciani , Francesco Colantoni, Eugenio Chianelli, Gabriele Ognibene, Cristian Muzzachi, Patrick Giannetti e tantissimi altri.
Per lui si rimetteranno gli scarpini anche Mauro Bencivenga e Fabio Lucidi.
Insomma, in piazzale Ennio Flaiano lo spettacolo sarà davvero garantito, perchè chi verrà godrà dell’opportunità, più unica che rara, di vedere all’opera una sorta di “All Star” del calcio laziale.
Fabrizio, insomma, sei proprio convinto?
“Sì, alla mia età è più complicato recuperare rapidamente dagli infortuni e qualche acciacco comincio ad accusarlo.
Preferisco chiudere adesso che sono ancora un giocatore, piuttosto che andare incontro a qualche figuraccia.
L’unico rammarico è chiudere al termine della mia unica annata in Promozione, contraddistinta peraltro da una grande delusione visto il comportamento della Valle del Tevere nei miei confronti.
Ora sto facendo il corso di allenatore.
Il mio prossimo obiettivo è prendere il patentino, poi si vedrà…”.
Il tuo amore per il calcio è nato a Fidene, se non sbaglio.
“Esatto, ho cominciato nella squadra del mio quartiere all’età di cinque anni e fino ai dieci sono stato lì.
Successivamente voleva prendermi la Lazio, ma arrivò prima la Roma.
A Trigoria ho fatto gli Esordienti con Bruno Conti e poi, via via, tutta la trafila dagli Allievi con Mauro Bencivenga alla Primavera con il compianto mister Maldera”.
E’ vero che fu Conti ad assegnarti il tuo storico soprannome?
“Sì, all’epoca parlavo come Paperino e lui mi ribattezzò così.
Ormai se mi chiamano Fabrizio neppure mi volto”.
Un legame indissolubile anche con il numero 8.
“E’ un pezzo di me, ce l’ho anche tatuato addosso.
Ho voluto sempre e soltanto quel numero, perchè era quello del mio idolo, Paul Gascoigne.
Genio e sregolatezza, un po’ come sono stato io…”.
Quella con la Roma è stata una storia strana.
Sembravi pronto per finire in prima squadra, e invece…
“E invece è accaduto che Zeman venisse esonerato e che al suo posto fosse chiamato Capello.
Lui aveva i suoi uomini e c’era gente più sponsorizzata di me in Primavera, così fui mandato a Reggio Emilia con un pre-contratto con la Roma.
Lì non giocavo mai ed il mio procuratore di allora, se così possiamo definirlo, mi riempì la testa di storie a cui credevo perchè ero giovane e pensavo solo a divertirmi.
Proprio quando il tecnico Peggiorin cominciava a vedermi, fu silurato e con il suo successore era più facile vedere in campo degli ultra-quarantenni.
Finì che una sera mi beccarono in discoteca e lì si concluse la mia esperienza alla Reggiana.
Per me fu una vera mazzata, pensai di farla finita con il calcio”.
E invece cosa accadde?
“Il mio amico Gegio (Eugenio Chianelli, ndr) mi chiama e mi chiede se voglio andare a giocare con lui a Pisoniano.
Si gioca in Eccellenza, mi fa, i ritmi sono diversi, ma puoi divertirti.
Andai lì ed effettivamente mi trovai bene”.
Tanto bene che, dopo un pugno di mesi, i professionisti le riaprirono le porte.
“Accadde tutto in maniera molto strana.
Facciamo un’amichevole infrasettimanale contro il Sora ed io gioco di giovedì quella che probabilmente resta la miglior partita della mia vita.
A fine gara, il direttore mi fa: “Passa in segreteria, che devi firmare la lista di trasferimento”.
Pensavo che scherzasse, invece era tutto vero.
Giocai due anni nel Sora con mister Eziolino Capuano”.
Che ricordi hai di quei tempi?
“Il primo che mi viene in mente la partita di Coppa Italia al San Paolo di Napoli.
Io sono sempre stato un tipo scherzoso e giocherellone nello spogliatoio fino ad un minuto dall’inizio di ogni partita.
Quel giorno, invece, fu diverso.
Ero tesissimo, giocavo di fronte a quarantamila persone e c’era la televisione.
Resta comunque il ricordo più bello della mia vita calcistica.
Poi ce ne sono stati anche di brutti però.
Penso alle difficoltà finanziarie del club che mi portarono a compiere la scelta più sbagliata della mia carriera”.
Quella di lasciare Sora?
“Sì, agii d’impulso e lasciai una C1 per andare a Ferentino in Serie D.
Se invece avessi stretto i denti, probabilmente le cose sarebbero andate in maniera diversa.
Resta il rimpianto maggiore della mia vita”.
Lì è cominciata la tua seconda vita calcistica, quella interamente spesa tra i dilettanti laziali.
“Di ricordi belli ne ho tanti, in particolare il mio primo anno con mister Patalano.
Era l’anno in cui il campionato lo vinse il Gaeta ed era un’Eccellenza formidabile.
Tra mille difficoltà economiche e sacrifici di ogni genere si costituì un gruppo eccezionale.
Stavamo bene tra noi e ce la siamo giocata con grande professionalità.
Se invece devo indicare la squadra in assoluto più forte nella quale abbia militato tra i dilettanti, dico il Fidene”.
La Coppa Italia: ad un certo punto era diventata un tabù per te.
“Giocai due volte la finale.
La prima volta con la maglia del Fidene fui sconfitto dal Pomezia, la seconda, vestendo quella della Lupa Frascati, venni battuto dal Cisterna.
Due partite perse male, immeritatamente.
La terza, quella probabilmente giocata peggio nell’anno in cui militavo nel Colleferro, la vinsi contro il Boville.
Il calcio è strano”.
Di giocatori forti ne hai visti tanti.
Qual è quello che ti ha impressionato di più?
“Giocando a centrocampo, non posso non pensare ad Emanuele Mancini.
A San Cesareo bastava uno sguardo per intenderci.
Lui interpreta il calcio come me ed è un ragazzo dalla rara intelligenza.
Poi non posso non citare gente come Neri, Iannotti e Turazza”.
E parlando di allenatori?
“Bencivenga mi ha insegnato a giocare di prima ed in verticale.
E’ stato lui il tecnico più importante della mia carriera.
Alle sue spalle metto Lucidi, con cui ho avuto anche qualche screzio e non lo nascondo ma ci rispettavamo molto, e Mariotti, una persona che le cose te le dice in faccia come piace a me.
Devo dire che, tutto sommato, non ho mai avuto problemi con gli allenatori”.
Hai una bacchetta magica.
Usala per cambiare qualcosa nel calcio dilettante laziale.
“Per prima cosa modifico la regola sugli under, che trovo una delle più grandi “cavolate”.
Se uno è bravo, gioca perchè merita e non perchè deve farlo.
Poi frequentando questo corso credo sia davvero troppo facile diventare allenatore.
Senza fare nomi ho visto gente che fatica a fare un esercizio tecnico.
Nel nostro calcio serve gente seria, mentre l’andazzo continua ad essere quello che il posto si trova solo a chi porta i soldi…”.
Trent’anni a rincorrere un pallone.
Cosa ti rimane dentro?
“Restano l’atmosfera dello spogliatoio, le chiacchiere, le risate.
Sono un tipo solare, ma spesso mi hanno anche riconosciuto come uno dei leader e questo mi ha gratificato.
Tutto questo mi mancherà, come mi mancheranno i sabato sera a casa e le domeniche in giro per campi”.
Allora, ci vediamo mercoledì al Sacerdoti.
A proposito, sei convinto che tutti i partecipanti riusciranno a tenere i ritmi?
“E chi lo sa?
Le previsioni dicono che farà molto caldo.
Penso che vedremo tanta qualità, ma decisamente poca quantità (ride)…”.