DI FRANCO: “I GIOVANI RAPPRESENTANO UN CAPITALE, IL CALCIO OTTIMIZZI QUESTA RISORSA”

DI FRANCO: “I GIOVANI RAPPRESENTANO UN CAPITALE, IL CALCIO OTTIMIZZI QUESTA RISORSA”

A sessantacinque anni compiuti, Giuseppe Di Franco è il decano dei tecnici del massimo campionato regionale.

L’età anagrafica ha però un significato relativo negli occhi di un uomo che di calcio ne ha visto parecchio, ma conserva inalterata la passione per uno sport che è da sempre parte integrante della sua vita.

Dagli esordi in panchina nel settore giovanile della Lazio all’attualità che lo vede al timone del Lariano, Girone B dell’Eccellenza nostrana.

Non ditegli che è una deminutio, però, perchè si offenderebbe.

Per lui essere alla guida dei gialloverdi è come stare su una panchina di Serie A.

 

Mister, grazie alle due vittorie consecutive con le ciociare Roccasecca e Monte San Giovanni Campano il suo Lariano ha raggiunto il terzo posto.

“Il nostro momento è abbastanza felice, ma io più che alle vittorie sono interessato alla qualità del gioco espressa nei novanta minuti.

A mio giudizio, il singolo riesce ad ottenere buoni risultati solo se è supportato dall’intera squadra.

Se questa combinazione si verifica, allora possiamo essere competitivi.

In questo senso, sono fiducioso.

Intanto ho una banda di ragazzi che mi segue e questo mi rende contento”.

Mi risulta che, da quando lei lavora all’Abbafati, abbia legato molto con il ds Saccucci.

“Mario è un bravo ragazzo ed è animato da una grande passione.

Forse deve imparare ad essere meno istintivo, però il calcio lo conosce e può crescere tantissimo”.

E’ ancora prematuro tracciare degli obiettivi concreti per la stagione?

“Penso che la squadra possa raggiungere una tranquilla salvezza.

La mia speranza più grande è però quella di far crescere i ragazzi più giovani e, possibilmente, dar modo ad un paio di loro di cimentarsi in futuro con categorie più prestigiose di questa”.

Consuetudine vuole che voi allenatori siate assai restii a sbilanciarvi sui singoli, però mi sembra che tra i vari interpreti a sua disposizione si stia mettendo in evidenza il giovane Mastrella.

“Mastrella è un normotipo.

E’ un ’97 che sta migliorando moltissimo.

Quando l’ho conosciuto, si limitava a ricever palla ed a scaricarla vicino.

Adesso è migliorato moltissimo ed ha acquisito personalità, però deve imparare a gestire meglio la fase di possesso ed a posizionarsi in modo corretto in quella di non possesso.

Quando lo fa, raccoglie i frutti.

Domenica, ad esempio, in occasione del gol ha fatto un ottimo inserimento, mettendo in pratica ciò che proviamo durante la settimana”.

Come riesce un tecnico dalla consolidata esperienza calcistica come lei a mantenere costantemente viva la fiamma della passione?

“Io alleno dal 1981 ed ho all’attivo quasi novecento panchine in varie categorie.

Nonostante questo, non vedo l’ora di andare al campo.

Il calcio mi ha regalato la gioia di conoscere l’ambiente di Coverciano ed anche l’opportunità di vivere un’esperienza professionale in Iran.

Ora però c’è il Lariano ed è questa la mia Serie A.

Un concetto che cerco di trasmettere tutti i giorni ai ragazzi?

Noi non dobbiamo ragionare con una mentalità da dilettanti, ma costruirne una da professionisti.

Nel calcio e nella vita è la testa che fa la differenza”.

Se dovesse riassumere in poche parole il suo segreto, quali concetti utilizzerebbe?

“Credo che tutto ruoti intorno alla passione ed al desiderio di aggiornarsi costantemente.

Per allenare ho lasciato il mio lavoro anni fa, perchè il calcio è la mia vita.

Pochi minuti fa ho finito di preparare il lavoro settimanale della squadra e tra poco andrò al campo”.

Sia sincero, le piace la nuova generazione di allenatori?

“Quando mi rapporto con loro, dico sempre una cosa: “Ricordatevi che, quando un giocatore, un dirigente o un semplice tifoso vi chiama mister, vi sta attribuendo un’enorme responsabilità e bisogna esserne degni”.

Io appartengo ad un’epoca in cui si veniva su a latte e gallette, mentre questi ragazzi sono cresciuti ad omogeneizzati.

Noi non ci vergognavamo di andare sui campi con un foglietto ed una penna per poi cercare di rubare con l’occhio.

Questi ragazzi, invece, li vedi con un computer e pensano di essere Dio sceso in terra.

Non è così che funziona.

Una volta, Rinaldo Sagramola mi spiegò che, per far crescere i giovani, una società deve investire sugli allenatori.

In tal senso, l’esperienza accumulata mi ha portato a ritenere fondamentale che tutti i club si dotassero di un Responsabile dell’Area Tecnica, ossia di un uomo che sappia di calcio e che non si faccia prendere in giro dai mister.

Gli allenatori giovani devono essere seguiti durante la loro crescita.

Spesso, quando giro per i campi, mi capita di sentire una terminologia assurda, da brividi”.

Qualcuno in gamba ce ne sarà pure o è tutto da buttar via?

“Mah, cosa devo dirle?

Il calcio è dedizione.

Baiocco l’ho visto crescere e mi piace.

Tra le nuove leve credo che Pino Selvaggio abbia la personalità per arrivare in alto e che anche Andrea Persia, di cui non capisco come mai sia senza squadra, possa farcela”.

Ha appena citato Baiocco, che domenica è stato vittima di una vile aggressione.

Perchè tanta violenza nel nostro calcio?

“Quello ai danni di Enrico Baiocco è stato un gesto deprecabile e da stigmatizzare con fermezza.

Un paio di settimane fa, ne è avvenuto un altro analogo in Campania.

Sono gesti che fanno male e per mia fortuna a me non è mai accaduto nè da calciatore, nè da allenatore.

Non voglio però dare tutte le colpe al Montespaccato, che ha una dirigenza capace e che ha saputo riportare in alto il nome del club negli ultimi anni.

Ci vorrebbero pene certe nei confronti di chi si macchia di simili gesti, ma siamo in Italia e di cose certe ne vedo poche…”.

Esisterà pure un modo per fronteggiare e magari prevenire simili episodi.

“Quando allenavo alla Lodigiani, la società organizzava spesso riunioni con i genitori per alimentare la cultura sportiva.

Ora però mi chiedo: quante società hanno in organico persone capaci di ascoltare i genitori e spiegar loro come va il calcio?”.

Torni indietro nel tempo.

Chi è stato il suo maestro?

“Ho avuto la fortuna di allenare per anni nel settore giovanile della Lazio, quando era fiorente e ne uscivano giocatori importanti come Di Biagio o Capparella, tanto per citare un paio di esempi.

A quei tempi, ho conosciuto gente come Ghedin, Corradini, Morrone ed il grande Gigi Lenzi.

Ricordo Ilario Castagner seguire le riunioni tecniche degli allenatori del vivaio e discutere settimanalmente il programma dei vari mister.

Ho ben viva l’emozione e l’orgoglio che provai, quando lesse il mio, allora tecnico degli Esordienti.

Ho cercato di prendere spunto da tutti e negli anni ho accumulato tante dispense.

Le metto a disposizione di tutti coloro che abbiano il reale desiderio di fare questo mestiere.

Utilizzando una metafora scolastica, potrei dire che la Lazio è stata il mio Liceo e la Lodigiani la mia Università”.

Nella vita di ogni uomo c’è spazio per almeno un rimpianto.

Il suo qual è, mister?

“Ne ho uno, grande, ma ormai è acqua passata.

Diciamo che è legato ai tempi in cui sono stato vicino al calcio che conta.

In quel momento mi è mancata probabilmente la capacità di riflettere e ponderare al meglio, invece mi feci prendere dall’istinto.

Pazienza…”.

Se le dovesse individuarne una, quale virtù ha smarrito il calcio, a suo giudizio?

“Penso che si guardi ben poco all’entusiasmo dei ragazzi, che invece andrebbe curato e nutrito quotidianamente.

I giovani vanno resi partecipi di quello che intendi fare, devi interessarli con dedizione.

Oggi invece i club pensano soprattutto al fattore economico e non si interessano della crescita dei calciatori.

Io dico che il capitale umano va ottimizzato, non disperso”.

Torniamo al Lariano: quanto le pesa ciò che è accaduto in Coppa Italia con il Pomezia?

“C’è grande rammarico, inutile negarlo.

Avevamo fatto molto bene sia all’andata che al ritorno.

Purtroppo i ragazzi hanno sbagliato a trascurare le loro squalifiche precedenti e la società ha fatto altrettanto, non verificando attentamente le loro posizioni pregresse.

Una parte di responsabilità me la prendo anch’io, perchè dovevo essere più categorico nell’imporre questa verifica”.

Domenica ospiterete un’Audace che, numeri alla mano, sembra andar decisamente meglio in casa che non in trasferta.

“I dati li conosco e mi preoccupano.

Spesso i miei giocatori pensano che le vittorie arrivino semplicemente guardando la classifica.

E’ una mentalità che non accetto e che cerco di combattere, perchè tutte le partite sono difficili e vanno vinte sul campo.

D’altronde, se il calcio fosse una scienza esatta, non esisterebbero i Milan-Palermo.

L’Audace è una buona squadra ed ha gente che può metterci in difficoltà.

Penso a Meacci, oppure a Quaresima che conosco bene e che avrebbe potuto fare anche una buona carriera in C con un pizzico di fortuna in più.

Sarà una gara complicata, ma noi speriamo di ripetere le buone prestazioni delle ultime settimane”.