Mauro Lumaca ed un cuore diviso a metà: “Urbetevere, Aureliantica Aurelio oppure una fusione? A breve dovrò prendere una decisione…”

Mauro Lumaca ed un cuore diviso a metà: “Urbetevere, Aureliantica Aurelio oppure una fusione? A breve dovrò prendere una decisione…”

Grazie al successo all’inglese sul campo del Passoscuro, firmato da Rocchi e Vagnarelli, l’Aureliantica Aurelio ha scavalcato nuovamente il Tolfa al comando del Girone A di Promozione, laureandosi Campione d’Inverno.

Un piccolo ma significativo passo per il club romano che fin dal primo vagito del torneo non ha mai nascosto la volontà di puntare senza mezzi termini al salto di categoria per raggiungere una dimensione più consona alle proprie ambizioni.

Prima dell’inizio della stagione, Mauro Lumaca, imprenditore di chiara fama nel campo dell’edilizia, ha affiancato nel progetto il suo amico di vecchia data Franco Bandini.

Un ingresso, il suo, che ha innervato di ulteriori speranze un club che si giova della professionalità di un dirigente come Massimo Corinaldesi e che ha affidato la gestione della squadra ad un tecnico che non ha bisogno di presentazioni come Cristiano Di Loreto.

“Tutti mi chiamano Presidente ma io non ho cariche, sono semplicemente un amante del calcio”, sottolinea con il sorriso sulle labbra di chi ne ha viste tante e non si sottrae nel parlarne.

D’altronde, chi lo conosce sa che Mauro Lumaca è una fucina di aneddoti e li ricorda con precisione svizzera, anche se sono ormai distanti nel tempo.

“Figuratevi che ogni giorno in cucina mi faccio lunghe chiacchierate con Mia, che è un rottweiler ma mi ascolta sempre con attenzione” racconta tra il serio ed il faceto.

Ed allora anche noi ci accomodiamo con il taccuino in mano ed ascoltiamo con piacere le sue parole.

 

Quando nasce la passione di Mauro Lumaca per il calcio dilettantistico?

“Da giovane mi dilettavo, ma non ero proprio un fenomeno.

Sono nato a Monteverde e giocavo vicino casa, all’Olimpia, dove il mio allenatore era il “Condor” Elio Serilli.

Da esterno che ero mi trasformò in centrale difensivo.

In quel ruolo andai meglio, ma i piedi rimasero quelli di prima: fucilati!”

E poi?

“E poi accade che mi sposo e nascono i miei tre figli Giampaolo, che fa l’architetto, Patrizio, che è un commercialista e Nicolò, che sta per aprire una sua attività a Trastevere.

Quando erano piccoli, il mio amico Alberto Rapone mi fece avvicinare al Tanas Casalotti e poi con lui e con Secondo Iceti venni a contatto con l’Urbetevere.

In seguito sono stato anche a Fregene, a Focene, alla Fortitudo ed alla Junior Portuense, ma non ho mai voluto ricoprire cariche.

Tutti mi chiamano Presidente ma io non ho cariche, sono soltanto un amante del calcio (ride)…”.

Nel periodo all’Urbetevere suo figlio Patrizio fu preso dalla Lazio.

“Era un esterno offensivo molto bravo e veloce, in quegli anni di settore giovanile i tecnici lo preferivano a De Silvestri che forse era ancora un po’ acerbo.

Poi Lorenzo è finito in Serie A e Patrizio si è messo a fare il commercialista.

Ma, si sa, ogni tanto il calcio segue rotte tutte sue…”.

A quel periodo risale la nascita del suo rapporto con il nostro direttore Raffaele Minichino, se non erro.

“E’ proprio così, a quei tempi Raffaele gestiva gli Allievi Nazionali della Tivoli ed aveva bisogno di un giocatore con le sue caratteristiche in quel ruolo.

La Lazio gli diede Patrizio e da lì è nata una bella amicizia con Raffaele e con suo figlio Filippo, con cui ai tempi giocava.

Ricordo con piacere mister Marco Rosa, che era l’allenatore di quella squadra e che spesso diceva a mio figlio che era l’unico professionista di quel gruppo, ma era evidente che lo sopravvalutava (sorride).

Sotto certi aspetti, comunque, sono contento che abbia smesso, perché per un padre è sempre una preoccupazione vedere il proprio ragazzo in campo.

Hai sempre paura che possa farsi male.

Raffaele è una bella persona, con me è sempre stato sincero e corretto.

Lo stimo molto, sa coniugare benissimo la sua passione per il calcio con il lavoro”.

Com’è nata la possibilità di affiancare in questa avventura Franco Bandini?

“Ad un certo punto avevo deciso di defilarmi dal calcio, poi il mio amico Franco Bandini, che conosco da quarant’anni, mi ha parlato di quello che aveva in mente di fare con l’Aureliantica Aurelio ed ho deciso di dare il mio contributo.

Il progetto ha subito vari rallentamenti a causa della pandemia, poi quando stavamo per partire ha fatto un passo indietro anche Claudio Fazzini, un altro nato e cresciuto a Monteverde, ed abbiamo dovuto ripensarlo.

Per fortuna è stato possibile coinvolgere Massimo Corinaldesi, un professionista eccezionale, che ha avuto anche il merito di individuare nella persona di Cristiano Di Loreto il tecnico giusto per noi”.

Trentotto punti nelle prime quindici giornate rappresentano un bottino considerevole.

Siete soddisfatti o si poteva fare anche meglio?

“Vede, la nostra è una squadra piuttosto esperta.

Anche per questo motivo, non appena abbiamo ricominciato ad allenarci, tanti ragazzi hanno accusato problemi fisici causati dalla lunga inattività.

Elementi per noi importantissimi come Rocchi, Leone e Fiorini sono stati costretti a saltare più di una partita.

Per nostra fortuna, all’inizio ci hanno dato una grande mano i giovani come Cuscianna ed i senatori come Vincenzo Lupo che sono stati in grado di giocare.

Di sicuro, la squadra è andata anche al di là delle nostre aspettative vista la situazione, peccato che dopo le feste di Natale abbiamo avuto qualche problema di positività e questa cosa si è fatta sentire…”.

Si riferisce alla sconfitta casalinga con il Fregene Maccarese?

“Quel giorno abbiamo perso 3-0 in casa, ma poteva finire anche 8-0.

Eravamo disastrati.

Certo, va detto che contro di noi le squadre danno sempre qualcosina in più, ma nel calcio è sempre così.

Tutti vogliono battere la squadra che ritengono la favorita del torneo e non a caso, in occasione delle nostre gare, spesso in tribuna vedo addetti ai lavori di tutto il girone.

Evidentemente destiamo interesse…”.

Il torneo sembra suggerire che sarà corsa a due per il titolo e, dopo il break, domenica 13 febbraio giocherete lo scontro diretto con il Tolfa in casa vostra.

Che valenza avrà quella partita?

“Il Tolfa è certamente un’ottima squadra e la rispettiamo.

In avanti ha due ottimi attaccanti, come i fratelli Trincia.

Va detto però che li abbiamo già battuti all’andata, quando eravamo alle prese con molte defezioni, e adesso avremo la squadra al completo.

Di sicuro sarà una gara da tripla, ma la mia opinione è che un risultato positivo ci metterebbe davvero sulla strada giusta”.

Il fatto che giochiate le vostre gare casalinghe al campo Urbetevere e l’amicizia che vi lega al club di via della Pisana hanno inevitabilmente alimentato rumors di possibili accordi in vista del futuro.

Può dirci qualcosa a riguardo?

“Cicchetti ha sessantaquattro anni come me e con sua moglie Laura andavamo all’asilo insieme.

Basta questo a far comprendere quanto sia affezionato alla famiglia di Claudio che per me è come un fratello.

E’ ovvio che di discorsi se ne fanno tanti, ma per ora non c’è nulla di concreto.

Potrei affiancarlo all’Urbetevere oppure restare all’Aureliantica Aurelio.

Una fusione?

Sarebbe bellissima, è chiaro, ma per metterla in pratica dovrebbero convergere le volontà di tutte le parti in causa e ad oggi sono discorsi prematuri.

Non dimentichiamo che si tratta pur sempre di due matricole distinte.

Magari ne riparleremo più avanti…”.

A proposito di bivi, la storia di un uomo la determinano anche le strade che lo portano ad incrociare altri esseri umani che possano arricchirlo interiormente.

Tra pochi mesi ricorrerà il decimo anniversario della scomparsa di Aldo Maldera, con cui condivise un tratto del suo percorso a Focene.

“Il calcio mi ha permesso di incontrare tante persone eccezionali, due di loro in particolare le porto nel cuore.

Una di queste è Alberto Rapone, l’altra è Maldera.

Di Aldo rimpiango soprattutto le lunghe chiacchierate che ci facevamo, era davvero un uomo straordinario.

All’epoca era stato un po’ dimenticato dal calcio ed aveva anche altri problemi personali.

Fu Carlo Turco a portarlo a Focene e gli affidammo la squadra dei ‘90”.

Con quale risultato?

“Partimmo maluccio: nelle prime dieci partite neanche un punto all’attivo.

Non nascondo che eravamo tentati dall’idea di cambiare, ma lui ci trasmise fiducia perché ne aveva tanta nei ragazzi.

Morale della favola: chiudemmo al terzo posto e tre dei nostri ragazzi li prese l’Astrea, fu una grandissima soddisfazione.

Aldo insegnava calcio.

L’esperienza a Focene gli servì per rilanciarsi, ma quando ci ritrovammo gli brillavano gli occhi nel ricordare quella squadra.

A proposito di quei tempi, lasciatemi spendere una parola anche per Christian Parisi, un ragazzo splendido e che ci ha lasciato un grande vuoto dentro con la sua scomparsa”.

Quali sentieri deve battere secondo lei il calcio dilettantistico per resistere e magari migliorarsi dopo lo tsunami causato dalla pandemia?

“Fino a non molto tempo fa nel calcio giravano soldi importanti, ora quell’epoca appartiene al passato.

Paradossalmente ci saranno più problemi in una grande città come Roma piuttosto che nei piccoli paesi, dove magari sostengono la squadra locale raccogliendo i soldi al bar.

Io sono un imprenditore che riesce a far quadrare i conti delle sue aziende e mi sento l’uomo più fortunato del mondo.

Nel calcio serve utilizzare con intelligenza le risorse a disposizione, ecco perché stimo particolarmente, anzi ammiro, un uomo come Massimiliano Monnanni che ha dimostrato che si possono raggiungere obiettivi significativi anche senza esborsi incredibili.

Per questo motivo, se l’anno prossimo sarà in Eccellenza, l’Aureliantica Aurelio dovrà puntare su giovani di qualità e qualche calciatore d’esperienza che accetti di far parte del gruppo, destinando magari le sue competenze anche in qualche gruppo della scuola calcio o dell’agonistica.

Sono fermamente convinto che uno si possa divertire con il calcio anche a costi contenuti”.

Può tracciarmi il suo personale identikit di un dirigente sportivo virtuoso, secondo la sua visione e la sua esperienza?

“È presto detto: Massimo Corinaldesi.

 Lui ha una grandissima passione, anzi vive letteralmente per il calcio.

Massimo non dorme se non ha vinto ed è uno che cerca sempre di migliorarsi in quello che fa.

Tra le altre cose, gli sono ulteriormente grato perché mi ha permesso di conoscere una persona eccezionale come il nostro mister.

Voi peraltro lo sapete meglio di me: Cristiano Di Loreto è davvero un lusso per questa categoria.

La cosa che più mi piace di Massimo è però il suo costante tentativo di trasformare la squadra in una famiglia e questo per me è davvero fondamentale”.

Si spieghi meglio.

“Vi racconto un aneddoto.

Qualche anno fa, quando ero alla Junior Portuense, durante una partita mi accorsi che in tribuna erano sedute due belle signore che mi fissavano con insistenza.

Ero lusingato del fatto che, nonostante non fossi più un giovanotto, riuscissi ancora a riscuotere l’attenzione del gentil sesso, ma il motivo di quegli sguardi era un altro.

A fine partita, infatti, una delle due signore si avvicinò a me e mi disse che anni prima suo figlio giocava a Focene e che nelle sue successive avventure calcistiche non aveva più ritrovato quel clima familiare che c’era in quella società.

Non nascondo che la cosa mi riempì d’orgoglio.

A mio giudizio, queste sono le vittorie più belle che si possano conquistare nel calcio.

Una società ed i dirigenti che la compongono devono trasmettere un interesse ai ragazzi, devono portarli lontano dai pericoli della strada.

Se una società di calcio riesce a raggiungere questo obiettivo, ha svolto bene il suo compito”.

In una recente intervista Franco Bandini ci ha confessato di amare i proverbi, perché danno sempre un senso compiuto alle cose.

Se dovesse citarne uno, Mauro Lumaca quale sceglierebbe?  

“Io e Franco siamo due persone molto diverse, ma ci vogliamo molto bene.

A differenza mia, è un grande venditore e fa davvero parte dell’imprenditoria del calcio.

Lui e Massimo Corinaldesi sono sempre tirati a lucido, elegantissimi, mentre io sembro un poveretto accanto a loro (ride)…

Scherzi a parte, Franco ha grandi qualità: è venuto su dal niente ed ha saputo crearsi con grande capacità la sua strada, ma soprattutto è una persona pulita e questo fa la differenza.

Io mi ritengo una persona che non gioca tanto per partecipare, ma che punta sempre al massimo.

Poi, è chiaro che vincere è sempre una questione di dettagli e non sempre si riesce a farlo.

Non sono molto bravo con i proverbi, ma di una cosa sono particolarmente fiero”.

Di quale?

“Riesco sempre a guardare il mio viso riflesso nello specchio, quando mi faccio la barba.

E non mi taglio mai…”.